La notizia è di quelle che molti si aspettavano; io per primo: il popolo della famiglia è diventato un movimento. Questo si presenterà alle elezioni amministrative e farà da laboratorio politico per una conta di voti e della loro provenienza. Chi voterà per esso? Chi si è rifugiato nell’astensione o chi, migrando da altri lidi, approderà a un movimento che ha incarnato una esigenza di difesa di alcuni valori fondamentali che, per troppo tempo, è rimasta ambigua – e poco decisiva – nei programmi dei cosiddetti partiti politici “conservatori”? L’estetica piccina della fase embrionale può far pensare a un piccolo fiocco di neve e niente più, certo; ma è da un fiocco di neve che hanno origine le valanghe. Da sempre.
Durante i dibattiti sulla legge Cirinnà sono stati tanti i commenti mediocri, privi di lucida analisi e valore intellettuale. Abbiamo assistito a un circo, da entrambe le parti, dove i temi sono stati affrontati senza costrutto e progressione verso una idea che fosse identificativa di una lotta che non era, e non è, relativa alla semplice ostruzione a un disegno di legge ma che, diversamente, incarna a tutto tondo la più grande battaglia di civiltà che siamo mai stati chiamati a combattere: quella della difesa dell’uomo, posizionato nel tempo e nello spazio dentro la sua comunità, per come lo abbiamo conosciuto. Un contrastarsi fortemente a chi propone – come lo proponeva 100 anni fa – un “uomo nuovo”; una nuova visione antropologica descritta come progresso ed emancipazione; un “ordine nuovo”, appunto, che richiama alla memoria orrori che hanno segnato con il sangue la storia del secolo scorso.
Tra gli attori di questi giorni l’unico che è stato capace, ai miei occhi, di distinguersi, è Gaetano Quagliariello. Un intervento parlamentare lucido e forte, il suo; colto e circostanziato, produttore di fede, sogni, speranze e identità: produttore di una idea e non di una semplice opinione. Da difendere, essendo essa stessa il significato della nostra esistenza. Le frasi ascoltate erano, mentre le mie orecchie le accoglievano, non nuove in me. Da tempo la mia analisi su quanto sta accadendo viaggia sulle stesse rime dei punti toccati dal parlamentare; che sono quelle del vuoto lasciato dalle ideologie tradizionali, delle derive illuministiche che danno patente di razionalità e modernità alla barbarie, del finto laicismo usato come clava per distruggere il cristianesimo e dall’omologazione al pensiero egemone che, attraverso la falsa tolleranza e il falso laicismo, promuove – attraverso i propri metodi – una falsa realizzazione di diritti civili. Ha fatto bene Quagliariello a ricordare come intellettuali anticonformisti come Augusto del Noce e Pierpaolo Pasolini, denunciarono l’avvento del pensiero unico conformista e dominante – oggi tra noi – e lo descrissero come “radicalismo di massa”. Profeti che avevano visto il domani dai piccoli granelli di sabbia dell’oggi; anticipazioni che parlavano di un futuro prossimo e che, oggi, ai nostri occhi, sono diventate certezze del nostro domani. Venne odiato e combattuto Pasolini, veniamo odiati e combattuti noi: siatene fieri!
Produttore di ordine sociale, il cattolicesimo è stato il più grande fenomeno di omologazione del popolo italiano. Nonostante le derive negative inevitabili, omologati e istruiti alla morale cristiana si era sviluppato nel nostro Paese un modus vivendi che, checché ne dicano molti, poneva al centro valori imprescindibili e fondamentali. Un humus, terreno fertile per coltivare e raccogliere il frutto saporito dell’anima di un popolo: “ama il prossimo tuo come te stesso”, “porgi l’altra guancia”, “onora il padre e la madre”. Cittadini, praticanti o no, credenti o meno, anche gli atei, sono cresciuti immersi in questo sistema culturale divenendo, tutti, “sociologicamente cristiani”. Siamo – eravamo – italiani, quindi cristiani! Oggi, in luogo di questo, in luogo di quella “sana omologazione”, un’altra irrompe con la forza di un ordigno nucleare: un edonismo di massa che, pare, non si arresti dinanzi a nulla. Il perseguimento del diritto al soddisfacimento dei bisogni egoistici dell’uomo adulto e amorale esonda invadendo e calpestando i diritti di altri esseri umani più deboli, ad esempio i bambini. Oppure i poveri, il cui corpo oggi può essere comprato o affittato con la garanzia che questa pratica venga descritta come progresso e civiltà. Edonismo di massa e perversione intellettuale, in una orgia di isterica richiesta di diritti che progredisce verso l’infinito, dove l’uomo è educato alla non osservanza del principio fondamentale del vivere civile: il mio diritto finisce dove inizia quello di un altro uomo. E a chi parla di diritti da garantire a tutti e di libertà, a chi non vede nulla di pericoloso dietro questo orizzonte, è sempre bene ricordare le parole di Platone che, nel Libro VIII de “La Repubblica”, scriveva: “Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quante ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, son dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui; che i giovani pretendono gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi e questi, per non parere troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”. Cos’altro, se non tutto questo, sta accadendo, oggi?
Su tutto questo, contro le mistificazioni, le bugie e le falsità dei profeti del progresso, è nata la piazza del Circo Massimo. Una piazza dove nessuno dei presenti aveva in animo di negare a chiunque il diritto di amarsi. Una piazza dove, però, veniva affermato che il diritto ad amarsi non deve diventare l’unico dio sull’altare del quale si sacrifichino i diritti dei bambini; naturali, imprescindibili, inalienabili: nessuna possibilità di dissenso! Quale conquista di civiltà, perdonatemi, può mai provenire dall’arrogante imposizione dei desideri di alcuni sui diritti degli altri? Nessuna: è una educazione allo sbranarci a vicenda, come bestie, per l’esaltazione dell’io. Lo stiamo già facendo. E, assorbiti da questo esercizio, distratti da ciò, non ci accorgiamo, appunto, della nascita di una tirannia sopra di noi; che ci sta ammantando, ubriacando di finti diritti, facendoci perdere il lume della ragione. Una tirannia sempre più evidente agli occhi di pochi lucidi visionari emarginati dal sentire comune.
Ci ha ricordato Quagliariello, sempre durante il suo intervento parlamentare, un Pasolini che diceva come, nell’Italia repubblicana, una grande destra non fosse mai esistita. Dio solo sa quanto aveva ragione e quanto questo abbia causato danni strutturali incalcolabili, culturalmente, nel Paese; per lo svolgimento pieno della stessa democrazia italiana: infatti monca e deforme! Le ragioni sarebbero lunghissime da argomentare. Manca, in Italia, la produzione di cultura propedeutica al prendersi cura dell’anima di una tradizione che non guarda al passato a causa dell’esser retrogradi, conservatori o – come ci dicono i finti intellettuali della sinistra – fascisti! Affatto: guardiamo al passato e alla tradizione per poter non vivere nel caos, sapere chi siamo e saper tramandare il nostro sapere, avere una essenza consapevole di se stessa rapportata al mondo circostante, che si proietti nel futuro – certo – nel progresso, senza calpestare per questo la dignità dell’essere umano. Cambiare e progredire senza appoggiare la “de-umanizzazione” dell’uomo. I veri progressisti siamo noi! Noi che progrediamo, ma sempre e solo verso la bellezza.
“Sono i valori che fondano una tradizione e non viceversa” ha detto Quagliariello. In questo dissento in parte. Nel senso che ciò può essere vero in un ideale principio, in un big bang del pensiero filosofico-politico conservatore. Ma, passate tante epoche e fasi storiche, io credo che oggi queste due compagini possano essere descritte dalla metafora dell’uovo e della gallina. Non si scorge più l’origine del tutto e, forse, non è neanche importante. La tradizione e i valori sono in corrispondenza biunivoca, e il loro principio si perde nel tempo. Oggi, in simbiosi, secondo me, alternativamente e scambiandosi il ruolo di comando, i valori fondano tradizioni e le tradizioni, a loro volta, fondano nuovi valori; sempre, però, dentro un perimetro identitario che può vedere cambiamenti, novità da accogliere, progressi ed emancipazioni. Ma mai sui principi e i valori fondamentali, paradigmi su cui si basa la nostra stessa esistenza e l’insegnamento che impartiamo ai nostri figli. I valori e le tradizioni, quindi, propedeutici gli uni agli altri, vivono in coppia, progredendo verso l’infinito, ma senza correre mai il rischio di smarrirsi e perdere la retta via. A meno che non vengano separati a forza e lasciati soli: ciò che, oggi, guarda caso, la distruzione delle culture e delle identità sta provocando.
Siamo dei sovversivi, si; lo siamo e lo saremo contro questo pensiero unico dominante dal quale Pasolini ci proteggeva, con le sue parole, avvertendoci. Siamo sovversivi, pericolosi, perché lottiamo invece che chinare il capo, perché abbiamo lucidità e perché, come qualcuno fece prima di noi, prevediamo il futuro e ne abbiamo terrore. Che fare? Se è vero che tra nostalgie legittime ma culturalmente antistoriche e liberalismi finti, asserviti a un capitalismo finto anch’esso, una grande destra, in Italia, non è mai esistita, è altrettanto vero però che questo è stato perché non vi era una idea comune, basata su valori comuni da condividere. Mancava una forte identità, un paradigma su cui far convogliare un ampio elettorato che, tra nostalgici e moderati, si è sempre diviso combattendo male le sue battaglie; con un unico momento storico di unione, il “berlusconismo”, che non si è basato su una radice culturale ma su una necessità di contrasto elettorale ad un altro sistema di potere che stava prendendo il sopravvento. Un elettorato, una destra, unita, vincente elettoralmente, per quasi venti anni, quindi, ma sempre divisa culturalmente e sconfitta nella prospettiva del domani: una destra che non si fondava su valori comuni. L’elettorato era unito ma non sulla base di un sentire. Da lì la frana inevitabile degli ultimi anni: questo dimostra come non è dalla politica che può nascere la cultura ma è dalla cultura che nasce la buona politica; che è, essenzialmente, la cura dell’oggi per la costruzione del nostro domani.
Oggi, da quella piazza del Circo Massimo, mi permetto di affermare di avere scorto una luce. La luce di un popolo che è avversato con odio, tendenzialmente, dalla sinistra e che per questo diventa esso stesso testimone di una resistenza, di una lotta; che è vita. Ma, inoltre, anche se è forse solo una speranza o un voler esorcizzare la paura che questa battaglia possa andar perduta, in quella piazza ho visto per la prima volta idee e valori comuni collanti di un popolo; diviso, da sempre, da una asfissiante mancanza di cultura. Un popolo che può, su quelle idee e valori, costruire, incamminarsi e diventare testimone di una tradizione ed esercito di una destra che verrà. Unita, grande, popolare, realmente democratica, sociale, fondata sulla cultura, sull’amore, sulla giustizia, l’aiuto dei più deboli, l’incontro col le tradizioni altrui e le culture, il rispetto dell’altro: una destra che, quindi, guardi a Dio. Forse, al Circo Massimo, dopo una gestazione di 70 anni, è nata quella grande destra tanto sognata la cui idea abbiamo carezzato per generazioni. Quella grande destra che, diceva Pasolini, nell’Italia repubblicana non è mai esistita!