Cari amici e lettori, nei mesi scorsi i progressi verso la verità sul DC9 Itavia hanno portato ormai a una sostanziale presa di coscienza su come andarono le cose. Immediatamente chi ha depistato per 50 anni con la famosa battaglia aerea, ha rinverdito il fumo negli occhi con le “novità” che sono state mandate in onda dalla trasmissione Report. Ancora aerei da guerra, questa volta israeliani. Ancora fuffa davanti all’ unica certezza che a Report non diranno mai. Nei sedili del DC9 venne trovato lo stesso esplosivo usato per la strage di Bologna. Non un missile quindi, ma una bomba. Una bomba del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.
Circa le vicende si è indagato non solo giornalisticamente e con le commissioni ma anche da parte della magistratura. Vi sono moltissime indagini ma non famose. Ad iniziare dall’attentato all’oleodotto di Trieste di cui suggerisco il testo “Il grande fuoco”. Sui palestinesi hanno fatto molto tanti giudici, Mastelloni, Palermo che trasferito in Sicilia trova i collegamenti da Trieste a Trapani sede di Gladio. Apparati clandestini dello Stato con tutte evidenza hanno supportato le azioni dell’ Olp con commistioni tra varie organizzazioni.
Il caso particolare di Bologna ha complicazioni legate alla corruzione ideologica di quella città. In quel caso si fondano vari interessi. Allo scopo di dare la matrice fascista alla strage viene appoggiato anche il depistaggio su Ustica perché scoprendo cosa fosse successo a Ustica sarebbe venuta fuori anche la verità su Bologna. Ma allo stesso tempo vi erano esigenze che collimavano e quindi a tutti andava bene depistare. La prima da parte dello Stato che non poteva fare venire fuori che, negli anni precedenti, l’Italia avesse dato appoggio ufficialmente ai terroristi palestinesi per fargli fare le stragi negli altri Paesi. Ma la seconda esigenza era depistare per non fare accorgere che le azioni di ritorsione vero l’Italia fossero dovute alla svolta atlantista. Infatti proprio in quei mesi a contorno delle stragi, viene deciso da Cossiga di appoggiare l’installazione dei missili nucleari a Comiso in Sicilia cambiando la storia della guerra fredda. Ma questa azione, appunto, è motivo di ritorsione (oltre al motivo di non aver liberato il leader palestinese in Italia agli arresti) perché la causa palestinese e le organizzazioni di matrice marxista erano finanziate e appoggiate dall’unione sovietica e dai suoi riferimenti come la Libia di Gheddafi dopo che a Cuba, nel 1969, una conferenza aveva aperto questa stagione.
Gheddafi va su Malta per creare accerchiamento da sud dell’Europa (mentre ancora non vi erano i missili nucleari a Comiso) in un momento in cui era ancora possibile una invasione dell’Europa da parte dei comunisti. La marina militare italiana muove su Malta facendo una azione di guerra contro i libici e generando la loro ritirata e, quindi, facendo fallire il tentativo di accerchiare l’Europa da sud. Una perfetta narrazione nel testo “L’ora di Austerlitz” di Lelio Lagorio. All’Italia questo viene fatto pagare e, credo io, con il favore dei comunisti Italiani che come noto sognavano ancora di importare la rivoluzione. Loro sognavano che venissimo invasi essendo questo obbiettivo sfumato nel 1945 e poi archiviato dalla famosa “Svolta di Salerno”, quando Stalin pattuí la linea morbida con Togliatti che disse a un giovanissimo Adriano Sofri “provaci tu a fare la rivoluzione” e lui rispose “ci proverò”.
Nel quadro di quei pochi mesi a contorno del 1980, per favorire la Nato, vengono quindi recise le connessioni tra lo Stato italiano e le organizzazioni marxiste rivoluzionarie, vengono avviati gli accordi per posizionare a Comiso in Sicilia le testate nucleari e, in ultimo, una volta raggiunto lo scopo principale, viene liberato il Leader del Fronte popolare di liberazione della Palestina per fare calmare i palestinesi. Ma, una volta calmati, ormai il quadro geopolitico era cambiato per sempre e la Nato divenne dominante nel Mediterraneo. In questo quadro totale, quindi, è evidente la convenienza di tutti nell’appoggiare i depistaggi.
Democristiani e comunisti avevano interessi da tutelare perché i comunisti sapevano che i democristiani appoggiavano le organizzazioni marxiste e che le armi dei palestinesi che arrivavano in Italia grazie al Loro Moro erano poi utilizzate anche dalle BR e altre organizzazioni europee. Queste dal Libano arrivavano in Adriatico attraverso un veliero e poi conservate in depositi anche in Sardegna. Lo scopo della svolta atlantista nasce dal fatto che gli Stati uniti ovviamente sapevano tutto, e in questo quadro va analizzato l’omicidio di Moro, protagonista assoluto tramite il capocentro del Sismi di Beirut “Il maestro” Stafano Giovannone, degli accordi con i marxisti. Ed in questo quadro è la scomparsa e l’uccisione dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo nel settembre del 1980, a Beirut. I due indagavano sui traffici di armi. Non è difficilissimo ipotizzare che le azioni di Aldo Moro, in un momento dove ancora non vi erano i missili nucleari a Comiso e l’Unione sovietica poteva ancora invaderci, vennero giudicate come grave pericolo per la sicurezza della Nato. Il che, oggettivamente, è anche vero.
In questo quadro, quindi, credo che l’omicidio di Moro sia la prima pagina della svolta atlantista dell’Italia, che venne attuata dopo due anni delicati e strategici, attraverso azioni che generarono rappresaglie contro il nostro Paese. Apparentemente solo generate dalla mancata liberazione dal carcere del Leader del Fronte popolare di liberazione della Palestina (arrestato ad Ortona in compagnia di due autonomi romani mentre trasportavano missili di fabbricazione sovietica). Ma, in realtà, generata dello sconvolgimento degli equilibri della guerra fredda a favore dell’area atlantica. Tutte le parti in causa quindi avevano interessi ad appoggiare i depistaggi sulle stragi. Tutte tranne la destra sociale, fuori dall’arco costituzionale fino alla proposta di candidatura di Fini a sindaco di Roma da parte di Berlusconi in anni recenti. Una destra sociale quindi sempre fuori da ogni accordo di chi, invece, muoveva i fili di questo paese 40 anni fa per conto delle grandi potenze in conflitto tra loro. Una destra sociale che venne utilizzata nei depistaggi per essere accusata di stragismo ed eversione mentre ora è provato che le stragi di civili in Italia le facevano i comunisti e le azioni eversive la DC. Una destra sociale che per uno scherzo del destino, 40 anni dopo, è andata al governo. È ha il dovere di raccontare come realmente sono andate le cose in questo Paese.
A Bologna, per fare tacere chi vuole dire agli italiani chi ha assassinato i loro concittadini con quelle gravi stragi, viene urlata la solita retorica frase: “le sentenze si rispettano”. E, quindi, siccome una sentenza ha condannato Fioravanti bisogna rispettarla. Due note. La prima è che le sentenze accertano la verità processuale e non la verità. È il motivo per il quale con i depistaggi del finto pentito Scarantino nei processi di mafia erano stati condannati degli innocenti poi liberati alla comparsa di Gaspare Spatuzza. Se quindi le sentenze accertano la verità processuale, questo significa che non vanno affatto rispettate ma vanno rispettate solo se la verità sostanziale dei fatti (obbligo deontologico del giornalista), all’analisi di una serie piattaforma storiografica e indiziaria, collima con quella processuale. Se, al netto di ogni retorica, la verità sostanziale dei fatti è diversa da quella processuale non solo le sentenze si possono criticare ma questo è un dovere deontologico del giornalista che ha l’obbligo, a differenza di quanto credono cittadini e giornalisti poco dotti, non di narrare la verità. Affatto. Il giornalista, nero su bianco in deontologia, ha l’obbligo di narrare “la verità sostanziale dei fatti” e se all’analisi di come sono state scritte le sentenze è palese che queste siano state pilotate attraverso una dichiarazione di Angelo Izzo (che in cambio venne rimesso in libertà e uccise altre due donne) e non solo, è obbligo narrarlo.
I giornalisti, mancando ai loro obblighi ed anche per mancanza di cultura del loro ruolo, credono e hanno fatto credere ai cittadini che la verità dei fatti sia quella che viene fuori dalle sentenze. Questo, come detto per Gaspare Spatuzza, ma anche per mille altri casi, è falso. La verità processuale si chiama così perché è processuale. Altrimenti si chiamerebbe semplicemente verità. E tra questi due concetti di verità si innesta quello citato nella carta deontologica dei giornalisti, e cioè quello di “Verità sostanziale dei fatti”, che è un tipo di verità che non ha bisogno di prove ma discende da una analisi a tutto tondo di elementi inseriti in contesti di riferimento e incrociati tra loro che danno una consapevolezza su ciò che è stato.
Ma, in ultimo, porto a voi una riflessione. Mettiamo caso che sia vera la frase fatta che bisogna rispettare le sentenze. Questo significa affidarsi alla magistratura per avere la verità e rispettare il suo ruolo. Ma allora perché, prima ancora che la magistratura bolognese svolgesse le indagini e addivenisse a una sentenza, a Bologna si sono permessi di mettere una targa alla stazione di Bologna con scritto che erano stati i fascisti? Come mai, se si devono aspettare i processi e le sentenze al fine di rispettarle, se ne sono fregati dicendo al mondo che erano stati i fascisti prima ancora che lo dicesse il processo? Non mi sembra molto rispettoso verso la magistratura che doveva ancora operare e avrebbe potuto accertare altre responsabilità. È del tutto evidente, quindi, da questo aneddoto, che immediatamente dopo la strage abbiano pattuito prima ancora dei processi chi avrebbero dovuto incriminare. Perché sarebbe stato azzardato mettere una targa che ricordava la strage fascista e poi avere una sentenza diversa. Non trovate?
Quindi a Bologna erano assolutamente sicuri che la sentenza non sarebbe stata diversa. Lo sapevano prima dello svolgersi del processo. Quindi, e concludo, è abbastanza evidente quale sia il motivo per il quale viene chiesto (lo hanno fatto anche in altre vicende) che le sentenze si rispettino. Perché le sentenze le decidono loro, attraverso i loro uomini che hanno penetrato le “casematte del potere” come suggerito da Gramsci. Cosa che ebbe inizio, in questo caso, quando Palmiro Togliatti pattuí su ordine di Stalin il dicastero della giustizia.
In ultimo, quindi, e ribadisco per i colleghi, il giornalista non ha affatto l’obbligo di narrare la verità perché anche le fonti, come le sentenze, possono essere manipolate. Il giornalista, come scritto al primo articolo della nostra carta deontologica, ha l’obbligo di narrare “La verità sostanziale dei fatti” che è tutta un’altra cosa. La verità sostanziale dei fatti è che le stragi di Ustica e di Bologna sono state fatte dal Fronte popolare di liberazione della Palestina attraverso uomini di Carlos lo sciacallo, almeno fino a quando non compariranno elementi per indicare una diversa verità sostanziale dei fatti. In questo caso confermata da documenti desecretati anche da Paesi dell’ex “Patto di Varsavia” ed anche dal fatto che i documenti conservati a Forte Braschi relativi al Sismi di Beirut sotto segreto di Stato, vanno appunto e guarda caso dalla strage di Ustica, passano da quella di Bologna e arrivano alla sparizione di Italo Toni e Graziella De Palo nel settembre del 1980.
Noi di Eleggo abbiamo raccontato la storia di questa lunga inchiesta durata quarant’anni, ospitando il giornalista Gabriele Paradisi per la conferenza dello scorso giugno. Dal minuto 12, dopo i saluti iniziali, per prendere consapevolezza ed una visione totale di quegli eventi che hanno segnato la nostra storia.