Tutti quanti abbiamo saputo, in queste ore, della surreale condanna a sei mesi di reclusione inflitta al leader de La Destra, Francesco Storace, per vilipendio al Colle. Non voglio riportare la semplice notizia di cronaca, già letta più volte in tanti giornali, ma aprire spunti di riflessione di vario tipo. La condanna, anche se con pena sospesa, ha del surreale ed è il caso di ricordare i fatti. Il reato anacronistico e, nel contesto odierno, ridicolo, esiste nel codice per retaggio monarchico e punisce chi, appunto, vada a ledere l’immagine del Presidente delle Repubblica in vario modo.
Nello specifico, accadde che l’ultimo governo Prodi, nell’ultima sua fase, riuscì a sopravvivere grazie al voto dei senatori a vita, tutti di sinistra in quanto nominati da Presidenti della Repubblica di sinistra. Questo alterò per mesi la reale vita democratica del Paese che, in Parlamento , non vedeva più una compagine di governo avere la maggioranza parlamentare e quindi il diritto di governare. Fu in quel momento che Storace ebbe un battibecco con Rita Levi Montalcini, non eletta nessuno ma con potere di voto, e la definì stampella del governo. Napolitano intervenì per difendere la Montalcini e definì indegno l’attacco da lei subito. Si, insomma, quello che ha originato tutto, in pratica, è quello che poi è stato considerato la vittima, e cioè Napolitano. Storace, infatti, rispose dicendo che l’indegno era lui e da li partì il procedimento che ha portato alla condanna; che è arrivata nonostante Storace sia andato al Quirinale per scusarsi e Napolitano abbia chiarito pubblicamente che tra i due vi è stata una riappacificazione. Questi sono i fatti; ora le riflessioni.
La prima non può che essere nel merito del reato, la cui presenza nel codice non ha più senso in una valutazione di merito del modo in cui viene a nascere l’Istituzione della Presidenza della Repubblica. Intendo dire semplicemente che questa fattispecie di reato è, come accennato all’inizio del pezzo, una specie di “lesa maestà” e, perché la sua esistenza abbia un senso ancor oggi, bisognerebbe come minimo vivere in Paese con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica; in questo caso, un uomo scelto dal popolo, potrebbe, in un ragionamento giuridico, avere il diritto di godere di una protezione della sua dignità qualsiasi cosa faccia. Ma in Italia questo non avviene. Infatti il Presidente della Repubblica è nominato dai partiti politici, è una loro espressione di potere e garanzia; a mio avviso, una figura così eletta, non può godere della protezione rispetto al vilipendio in un contesto comunicativo moderno dove ogni critica legittima e il diritto di opinione possono tranquillamente configurarsi come notizia di reato per un procedimento del genere. E’ grottesco e inaudito, tenuto conto che per atti come le ingiurie o la diffamazione sono previsti specifici reati che tutelano tutti i cittadini, tra cui il Presidente. Quindi, con il reato di vilipendio, si punisce, nei fatti, qualsiasi critica “accesa” al Colle. Siamo matti?
La seconda riflessione che voglio fare su questa vicenda riguarda l’obbligatorietà dell’azione penale. Scusatemi ma pare che questa riguardi solo i politici di destra. In questi anni in cui Giorgio Napolitano è effettivamente uscito dalle sue prerogative costituzionali per muovere i fili della Repubblica, gli insulti, i vilipendi e gli oltraggi sono stati decine, se non centinaia. Quante volte i Grillini lo hanno insultato? Di esempi se ne possono fare tanti ma resta indimenticato il giorno in cui un pentastellato chiamò Napolitano boia. Boia! Non indegno, boia! Avete notizia di una sua condanna?
Altro esempio è il campione di “virulenza giornalistica” Marco Travaglio che definì Napolitano “un anziano puerpero in un reparto di geriatria” e che, in uno dei suoi editoriali più pesanti, in occasione della rielezione di Napolitano, scrisse: «Il cadavere putrefatto e maleodorante di un sistema marcio e schiacciato dal peso di cricche e mafie, tangenti e ricatti, si barrica nel sarcofago inchiodando il coperchio dall’interno per non far uscire la puzza e i vermi. Tenta la mission impossible di ricomporre la decomposizione. E sceglie un becchino a sua immagine e somiglianza: un presidente coetaneo di Mugabe, voltagabbana e potenzialmente ricattabile che da sempre lavora per l’inciucio e finalmente l’ha ottenuto».
Non so se avete letto bene, nel caso rileggete il pezzo. Fatto? Ok, rileggetelo ancora un’altra volta e nel mentre pensate che Storace è stato condannato a sei mesi di reclusione per aver solo detto, in risposta a una critica ricevuta, la parola “indegno”. Solo “indegno”. Qualcuno può spiegarci perché in alcuni casi gli insulti a Napolitano vengono perseguiti e in altri casi passano come acqua sotto un ponte?
Travaglio fuori e Storace dentro; ma, mi raccomando, non criticate i giudici. Anche questo, in Italia, è vietato.