Da diversi anni, ormai, nei dibattiti riguardanti l’Unione Europea e le problematiche che la caratterizzano, abbiamo visto i commentatori focalizzarsi, oltre che sui tecnicismi, su un concetto semplice ed esaustivo: questa Europa politica, le sue istituzioni, sono lontane dalla gente e dal sentire popolare. Non vi è, per nulla, una vicinanza; una affezione che richiami il concetto di patria. Cosa avrebbe dovuto essere, l’Europa, per il suo popolo, se non una nuova patria da amare e rispettare?
La sensazione, al contrario, è da sempre quella di una cappa asfissiante sopra le teste di noi cittadini. Questa Europa, dalla gente comune, dai cittadini lontani dalle posizioni retoriche e politicamente corrette, è vista come una farraginosa macchina burocratica limitante le libertà dei popoli che ne fanno parte. Le motivazioni analizzabili sono varie e tutte convergenti verso il fallimento di questo processo politico. Tre, a mio avviso, sono i vizi che hanno minato al principio le fondamenta di questa casa che scricchiola ed è piena di crepe: la mancanza di un paradigma politico e culturale alla base della sua fondazione, il superamento del concetto di primato della politica ai danni dell’economia e la mancanza di partecipazione alle decisioni, viste dai cittadini come obblighi imposti dall’alto.
Il primo concetto è, a mio avviso, il più importante; nonostante sia quello di cui si parla meno. Se, sforzandoci di fare un viaggio nel tempo, guardiamo l’Europa che ci circonda e la paragoniamo con quella degli anni ottanta e dei primi anni novanta, e cioè nel suo momento più importante fino alla ratifica del Trattato di Lisbona, possiamo osservare un fenomeno di deculturazione evidente che è proceduto di pari passo all’avanzare dell’intoccabile e retorico multiculturalismo. Mi spiego: per fondare l’Europa politica non vi è stato un raccordo armonico e una valorizzazione delle ricchezze derivanti dalle varie culture dei popoli europei, bensì la distruzione di ognuna di esse sull’altare di un processo che ha condotto verso la creazione di un ibrido: l’uomo nuovo europeo, anglofono e consumatore, senza riferimenti nel passato ma solo proiettato verso il futuro; condizione che determina smarrimento e caos per la perdita delle identità. Fenomeno per il quale, insieme ad altri fattori, si scatenano, in reazione, sentimenti nazionalisti o, come è di moda dire, i populismi. Multiculturalismo, quindi, non come comunione delle culture ma come abrasione di esse. Ebbene il simbolo di tutto questo è rappresentato proprio dal fatto che nella Costituzione dell’Unione Europea, poi convertita in Trattato di Lisbona per imporla dopo la bocciatura in due referendum consultivi, manca qualsiasi riferimento alle matrici culturali dell’Europa, siano esse romane, greche o cristiane. E manca una idea di integrazione delle varie culture. Tutto è pensato nella direzione di una idea meticcia di popolo. Questo, di fatto, ha sancito la nascita di un gigante giuridico che, però, non è un “soggetto politico”. Non vi è stato un paradigma politico e culturale su cui far attecchire il sentire di una epoca nuova da accogliere con gioia. Anzi, è nata diffidenza. Ed è da questo che è venuto un sentimento di distacco da questa Europa; non sentita, quindi, come nostra nuova patria, come casa del popolo, come sogno.
Il secondo concetto, direttamente collegato al primo, è proprio legato alle basi, reali, su cui tutto è stato poggiato in luogo di mattoni culturali e politici. L’Unione Europea vede nei suoi atti fondativi soltanto elementi tecnico – finanziari che, da ruolo di contorno, sono diventati attori unici. L’unico rapporto che gli Stati, e quindi i cittadini, hanno con l’Europa, è la configurazione del debito. Vi sono solo regole di bilancio imposte dall’alto ed il superamento, come anticipato, del primato della politica che ha lasciato spazio a quello dell’economia. Sono tanti gli esempi argomentabili per supportare la tesi ma credo che il simbolo di tutto possa essere il pareggio di bilancio su base costituzionale. Lo Stato non dovrebbe essere una azienda privata e il ricorso al deficit era una garanzia per far fronte a delle necessità fondamentali, come ad esempio il welfare. Sia chiaro, questo non significa giustificare epoche segnate dal ricorso al debito pubblico senza controllo; ma va sottolineato che imporre al bilancio di uno Stato la parità di entrate e uscite corrisponde, idealmente, a dire a un padre di famiglia con 100 euro di entrate e spese per 100 euro, di pagare la bolletta prima invece che dare da mangiare ai figli: è assolutamente fuori dallo stesso concetto di buona politica. E da ciò possono nascere solo disastri perché ci troviamo, quindi, per traslare l’esempio del padre alla Patria, a veder uno Stato che chiude le guardie mediche e riduce i posti letto ospedalieri per esigenze contabili. Facile capire, quindi, i sentimenti nascenti di disaffezione verso le istituzioni. I comuni cittadini, per semplificare, avvertono di essere maltrattati da uno Stato che ha altro a cui pensare che al loro benessere. Essi, questo è grave, danno la colpa di ciò, principalmente, alle regole di questa Europa matrigna, che ha levato agli Stati la loro sovranità monetaria e imposto regole ferree, rigide, senza scampo.
Il terzo concetto che raccorda i primi, determinando il fallimento dell’Europa politica, è simboleggiato solo in ultimo dal recente referendum britannico. E cioè la sensazione reale, avvertita dai cittadini, che qualsiasi decisione presa dall’alto che riguardi le nostre vite non sia protagonista di un processo democratico di partecipazione popolare. Insomma, ci sentiamo protagonisti di una epoca nuova dove vi è un distaccarsi dagli strumenti delle vecchie democrazie per approdare a una nuova fase dove chi decide non è eletto dal popolo ma sta nelle segrete stanze del potere. Per tanto tempo questo processo è stato poco visibile, nascosto. Abbiamo visto cedere sovranità da parte delle nazioni, anno dopo anno, senza che questo avesse una rotta e un approdo decisi dal basso; ma la cosa non era avvertita. Poi, negli anni più recenti, questa sensazione ha preso il sopravvento e in questi giorni si è palesata con forza attraverso le dichiarazioni di molti circa la Brexit. Si sono registrati soltanto una arroganza e una spocchia nauseanti, con cui sfacciatamente è stato detto che il popolo non deve votare, che il risultato va annullato, che permettere ai cittadini di decidere sia un “eccesso di democrazia”.
Tutto questo sta palesando l’unica verità che ha portato al fallimento di questa Europa. E cioè che le elite che l’hanno pensata e fatta nascere hanno avuto, sin dall’inizio, disprezzo per il popolo e i principi che hanno segnato le democrazie. E questo, fondamentalmente, ha rappresentato un humus da cui era impossibile poter vedere nascere un sogno; al suo posto, oggi, solo un inevitabile fallimento!