Topolino è solo, indifeso, e cerca di difendersi dai brutti ceffi che sono intenzionati ad attentare alla sua incolumità; per derubarlo, offenderlo in qualche maniera: questa l’immagine di un vecchissimo fumetto. Cosa è cambiato tra la verità che ci racconta questa rappresentazione di decenni fa e quella dell’oggi?
Sospeso da Fb per 24 ore per avere scritto la parola zingari, si è ormai affacciato sulla scena un leader, Matteo Salvini, che riscuote consensi unicamente per un motivo: dice la verità! Anche al sud, a nessuno importa che è leghista, che ha cantato cori contro i napoletani e tutti questi distinguo che vengono messi in ballo per cercare di arginarlo. Dice la verità e la gente ne ha fame. La verità cruda, quella che viene dalla pancia, quella che non conosce più la forma educata accettata dai salotti. Le persone stravedono per un padre che è sceso in campo con le sue spalle per difendere i figli, impotenti, che da anni urlano la loro condizione senza essere ascoltati. La verità non la dicono i politici di sinistra durante le loro cene eleganti negli attici milionari di Roma comprati a due soldi dagli enti di Stato. No, la verità la dicono l’impiegato, lo studente, la casalinga che ogni giorno escono di casa per andare a lavoro o per fare la spesa e, ormai, sono assediati da un esercito di bande criminali appostate in ogni angolo di strada. Molti di voi staranno pensando che sono esagerato, che questo è il tipico allarmismo eccessivo, di chi si è fatto abbindolare dagli slogan. E comprendo che molti di voi peseranno questo perché, magari, vivono a Trapani o Palermo, o qualsiasi altra città dove questa problematica è quasi inesistente tale da non poter dar luogo a coscienza critica. E invece lo scrivente argomenta per cognizione di causa, non per sentito dire; non perché Salvini mi abbia rimbecillito. E per questo comprendo il successo di Salvini che sarà inarrestabile.
Mia sorella vive e lavora a Roma, città dove anche io risiedo per circa tre mesi l’anno e il quadro è chiaro. I suoi racconti quotidiani sono cornice di quanto osservato da me, in modo diretto, nei miei soggiorni. La metropolitana e i treni dell’anello sono totalmente in mano a bande di rom, quasi sempre ragazzini, che rapinano e molestano chiunque indisturbati: i poliziotti impotenti. Vorrei raccontarvi un mio pomeriggio romano. Recentemente sono stato in attesa di un treno alla stazione termini, luogo di arrivo per milioni di turisti, vetrina dell’Italia nel mondo, per cinquanta minuti. Ho passato quel tempo ad andare in giro e osservare la situazione. Bande di decine di persone assalivano alle spalle chiunque si accingesse a fare un biglietto alle macchinette elettroniche. Ti avvicini, hai la borsa o la valigia, tiri fuori il portafoglio per fare il biglietto, ecco ti arriva alle spalle il “lavoratore di turno”. Mi sono posizionato all’ingresso centrale, vicino dei poliziotti. Dopo pochi minuti mi si presenta questa scena: un poliziotto tiene per un braccio una donna rom, l’ha appena arrestata; anche se questo è un termine fuori luogo, ormai. Ora voi starete immaginando una scena piena di tensione e invece ve la descrivo così come era a cinque metri dai miei occhi. La rom ride a crepapelle e guarda il poliziotto parlandogli come se fossero amici di vecchia data. Con il tipico accento di questa popolazione, gli dice in lingua italiana, sempre ridendo: “avanti lasciami stare”. Il poliziotto, ride anch’egli, dice al collega: “è quella di ieri, oggi pensaci tu, portala sopra e identificala”. Il collega lo guarda, con un sorriso da rassegnazione e gesticolando come a dire “ma perché dobbiamo perdere tempo, meglio lasciarla andare”. Dopo pochi minuti vado verso il binario, ultimo defilato. Salgo sul treno, direzione Trastevere, dove mi incontrerò con mia sorella per tornare a casa. Stiamo per partire ma sento delle urla. Dal vagone lato monte arrivano tre controllori che hanno quasi una colluttazione con tre rom, ragazzi sui 25 anni, forse di più. Non so cosa sia accaduto ma riescono a buttarli fuori dal treno. Evito di riportare i commenti delle persone e dei controllori. Sono troppo violenti. La gente vive ogni giorno in battaglia. Dico solo che i controllori, tra le altre cose, urlano ai ragazzi: “dovete andare a lavorare come tutti”. Arrivo alla stazione successiva, mi incontro con mia sorella e le racconto tutto. Tira fuori il telefono e mi fa vedere un gruppo Fb dove i pendolari si iscrivono per segnalare in tempo reale in che punti delle stazioni sono i rapinatori, come sono vestiti, così da saperlo prima di arrivarvi e identificarli salvandosi da una rapina. Resto basito. La gente è consapevole di essere indifesa, che lo Stato abbandona i suoi figli e iniziano a nascere metodi di autodifesa. E’ l’inizio di un percorso che porterà la gente a farsi giustizia da sola o ad affidarsi a qualcuno che, in qualsiasi modo, prometterà pulizia. Leggo di un avviso: rapinatori a Valle Aurelia. E’ la stazione dove hanno rapinato mia madre. La tecnica, come subito da lei e da tutti, è questa: la banda di rom si divide in due gruppi. Una parte si posiziona alla fine della scala mobile, lato monte, e una parte a valle. Appena il soggetto debole, la preda facile, si accinge a prendere la scala, entrano in azione. I rapinatori rimasti a valle salgono dietro di essa. Arrivati alla fine della salita, quando i gradini della scala mobile sono quasi piatti e la vittima sta per uscire, uno dei rapinatori in cima alla scala ammacca il pulsante d’emergenza per lo stop della scala. La vittima cade in avanti, i soggetti che erano alle sue spalle gli si fiondano di sopra, prendono la borsa e scappano. Alla stazione di Valle Aurelia, ormai, vi è un posto di lavoro fisso. La gente non chiama neanche più la polizia. Gli stessi rom arrestati il giorno prima sono di nuovo li, ogni giorno, puntualmente rilasciati. Siamo impotenti. Un’ora per arrivare da Termini a casa. Un vietnam! Arrivi a chiudi la porta dietro di te tirando un sospiro di sollievo. Oggi ce l’hai fatta, domani non sai.
Altra testimonianza. Qualche tempo fa mia sorella è stata rapinata da una banda di ragazze rom a Campo de Fiori. Nasce, con gli amici, un breve inseguimento. Il piantone di un palazzo ministeriale ne acciuffa una. Si va in caserma e la “signora” viene lasciata nel corridoio con mia sorella. La signora impreca, sputa a terra, insulta mia sorella dandole della puttana. E’ sera, dopo pochi minuti arriva un carabiniere e chiede ad un collega: “ma gli avete dato una coperta?” Dopo qualche minuto: “ma gli avete dato qualcosa da mangiare e da bere, qualcosa di caldo?” Si avrete capito, queste premure non erano per mia sorella che, stupita, chiede al carabiniere: “mi scusi, io sono stata rapinata. Ma perché tutte queste attenzioni per questa lei?”. E il carabiniere: “signorina lo so, sono mortificato; ma ci fanno le denunce per maltrattamenti e i giudici gli fanno vincere le cause”. Commenti liberi. Dopo un paio d’ore mia sorella viene mandata a casa e invitata a presentarsi, come testimone per il processo, l’indomani mattina, pena una multa salatissima. Lavori? Hai una famiglia e ti devi organizzare? Non importa. Sembra che il criminale sei tu. Arrivata, l’indomani mattina, mia sorella entra e trova la rom che si prodiga, nuovamente, a insultarla. Dopo un’oretta, dal fondo del corridoio, si vede arrivare una giovane ragazza, molto elegante, con una valigetta 24 ore: “salve, sono l’avvocato della famiglia della signora”. No, che avete capito, non della mia famiglia; della famiglia della “signora”, della rapinatrice. Questa si mette a saltare, ridere, sbeffeggiare mia sorella e il carabiniere: “ahahahahah, lei è mia amica, vaffanculo, ora io uscire come tutte altre volte, a me non fare niente”. Lascio a voi immaginare lo stato d’animo di mia sorella che era stata rapinata e del servitore dello Stato; di questo Stato criminale.
Avrei potuto scrivere delle parole di Salvini sui campi rom; scrivere delle reazioni e delle mie opinioni ma, invece, ho voluto, in questo articolo che non è neanche un articolo, per la sua forma, ma uno sfogo, raccontare testimonianze dirette che sono molto più idonee ed efficaci. Per esprimere un concetto: negare l’esistente non porta a risolvere i problemi ma a farli aumentare e a far crescere reazioni, che, prima o poi, saranno violente e inarrestabili. La gente è stanca. Mi appaiono come idioti oltre che ignoranti, lo dico con forza, coloro che affermano che Salvini provochi il razzismo. Il razzismo lo provocano i ciechi, coloro i quali negano la verità lasciando che i disagi sociali aumentino invece di porre rimedio. Salvini non genera razzismo ma è portavoce di un razzismo generato dalla condizioni di vita delle persone: è molto diverso!
Ma allora, tornando alla testa dell’articolo, cosa è cambiato, dagli anni di quel fumetto, ad oggi? Come è possibile che questa verità innegabile sia stata anche rappresentata nel fumetto più famoso della storia senza destare scandalo ma, oggi, chi si permette di dirla, viene tacciato di essere razzista? E’ una differenza sottile, ma fondamentale: oggi, a differenza di allora, viviamo in una dittatura del pensiero violentissima; la dittatura del politicamente corretto. Se non ti attieni a dire il falso e vuoi dire la verità sei emarginato, attaccato! Ed è per questo che Salvini macina consensi. Va contro il politicamente corretto! Dice quello che la gente sogna di dire da anni ma è costretta a tenersi dentro, pena l’essere crocifissa dai profeti delle bugie del perbenismo ipocrita, specchio dell’Italietta finto-colta, prima responsabile del disastro intorno a noi!