Decenni di oblio, come è consuetudine per tutti i misteri della storia d’Italia, sono la casa che è stata riservata alla più grave strage di civili in territorio italiano avvenuta nell’Italia post fascista. Il teatro fu Palermo, ma quanti palermitani ne hanno conoscenza? Quella Palermo, quella Sicilia, sempre narrate in modo retorico dalla storiografia antifascista con la quale, quando eravamo a scuola, ci hanno convinto che la nostra calda terra abbia visto una fine del conflitto pacifica e gioiosa. Quante volte abbiamo sentito le storie sulle caramelle e il cioccolato regalate dai soldati americani per le vie di Palermo? Quante volte le fandonie di una invasione militare passata alla storia come liberazione hanno fatto breccia nel nostro immaginario costruendo in noi, questo è il crimine intellettuale, una autocoscienza storica basata sul falso?
Mentre Salvatore Giuliano si dava alla macchia e Andrea Finocchiaro Aprile guidava il movimento separatista, il controllo del territorio da parte delle truppe alleate e il subdolo operare di chi era al loro comando si palesò con questa strage. Il carovita e le difficili condizioni in cui la popolazione era costretta a barcamenarsi sfogarono in una manifestazione di popolo, il 19 ottobre 1944. Questo eccidio prese il nome di “strage del pane” perché appunto uomini, donne e bambini chiedevano pane e pasta. Nessun arma e nessuna violenza, se non qualche lancio di oggetti, in un corteo che venne intercettato, in via Maqueda, da un battaglione proveniente dalla Caserma Scianna. Davanti Palazzo Comitini, obbedendo ad un ordine folle quanto “motivato”, i militari fecero fuoco sulla folla, ad altezza d’uomo. Ventisei morti e 158 feriti il bilancio di una carneficina rosso sangue; il colore di una via Maqueda diventata fiume, che venne ripulita come i libri di storia.
Perché? Perché quella violenza senza ritegno? Quale disprezzo per la vita umana e sull’altare di cosa? Come ho scritto prima, credo e penso che quell’ordine fu motivato da una strategia atta a tagliare le gambe al separatismo, che aveva visto crescere i consensi per l’assenza di ministri siciliani dal governo. Eppure non vi è certezza. Eppure, hanno detto per decenni, non è possibile affermare i motivi di quella vergogna. Ebbene se, formalmente, questo è vero, è altrettanto vero che quanto accadde successivamente può indicarci la via per capire quale fu la verità e quali i motivi di tale barbarie.
Significativo e non casuale, a mio avviso, il fatto che immediatamente venne operata mistificazione per dar colpa ai separatisti, accusati di fomentare il popolo, con lo scopo di affermare che i militari vennero aggrediti e risposero al fuoco. Una vergognosa bugia che venne portata avanti nel processo farsa che venne istituito per accertare la verità dei fatti. Un processo che si concluse con un verdetto che non riconobbe nessun colpevole. Legittima difesa, quindi, da parte di militari che deliberatamente giunsero sul luogo di una manifestazione di popolo e iniziarono a far fuoco ad altezza d’uomo senza nessun motivo. La tesi che venne accettata nel processo fu quella che il plotone si difese da un attacco da parte dalla gente operato anche con delle bombe a mano; grottesco.
Quali furono i motivi di tutto questo? Chi diede l’ordine? In quale quadro “tattico” di controllo politico del territorio si è mosso questo evento? Ricordo un accalorato comizio in cui Nello Musumeci, per rispondere a delle polemiche, disse che questa strage era l’unico antifascismo che si era visto da queste parti. Beh, potrei dargli ragione; ma, se dovessi dire qualcosa di costruttivo oltre che di provocatorio, come ho fatto intendere all’inizio dell’articolo, direi che è giunto il momento, dopo decenni di retorica della “liberazione”, di poter osservare e studiare gli eventi storici della nostra nazione per quello che furono davvero. Con pacatezza e senza faziosità o voglia di rivalsa; né da una parte né dall’altra, come ha provato a fare Giampaolo Pansa. Se non altro per essere consapevoli della nostra vera storia e, perché no, capire finalmente il nostro presente.