Se qualcosa su Craxi e Sigonella dovevo e volevo dire non doveva esser certo un racconto dei fatti avvenuti. Tanti, tantissimi gli articoli che in queste ore sono stati scritti e letti, dove è stato raccontato quanto accadde, tra militari americani e carabinieri, su quella pista che da grigia come l’asfalto divenne verde bianca e rossa sotto il cielo di Sicilia, con una autorevolezza da impero! No, non volevo raccontare nuovamente fatti narrati già da altri e già ben conosciuti. Quello che ho voluto fare è un esercizio di riflessione sul modo in cui, quest’anno, al tributo per il ricordo di Craxi non vi è stato praticamente nessun tentativo polemico di inquinare la memoria dell’uomo contrastando il tutto con i fatti di tangentopoli.
Se è vero che le cose che avvengono sono sempre cartine al tornasole di un qualcosa spesso latente, un sentire, una necessità di esprimersi, lo è certamente in queste ore dove si susseguono senza sosta i titoli orgogliosi degli articoli che raccontano quei fatti. Cosa intendo dire? E’ semplice: l’occasione dell’anniversario dei fatti di Sigonella, ai miei occhi, ha spezzato le catene di una voglia di urlare tutto il disagio che il popolo italiano sente per la consapevolezza di non comandare a casa propria ed essere sotto il controllo dei potentati internazionali, dando campo alla nostalgia per un momento dove era l’esatto contrario. E questa voglia ha spazzato via il conformismo anticraxiano, che ha sempre dettato la linea sul come ricordare il leader socialista. Chi segue le cronache e le polemiche politiche, infatti, sa bene che ogni anno, ad ogni tentativo di ricordo di Craxi, che sia stato per l’anniversario della morte o per i fatti di Sigonella, la levata di scudi è stata preponderante. L’odio della sinistra comunista verso Craxi ha sempre fatto da padrone. Una impossibilità di ricordare Craxi per la sua figura da statista ha sempre dominato la scena, con proscrizioni di chi ha invece tentato, sempre, di valutare la grandezza simbolica del patriottismo e dell’autorevolezza di un presidente che è il simbolo del più alto momento di orgoglio nazionale dalla fine del fascismo. Una guerra alle spalle ci ha consegnato una Italia marionetta, in mano agli Stati Uniti, sempre padroni a casa nostra. Ebbene Craxi fu l’uomo che disse all’America: in Italia comandano gli italiani, non gli americani.
Cosa si nasconde dietro questa voglia di ricordare quel momento patriottico? E come è possibile che le polemiche e i violenti contrasti ai tributi verso Craxi siano spariti nel nulla? Perché? Possiamo forse riflettere davvero e cogliere segnali importanti da quanto è possibile osservare in queste ore. Non importa tangentopoli, non importa nulla del resto. Tutto dimenticato. Importa solo la voglia di consegnare Craxi alla memoria politica positiva di questo Paese per la portata di quel momento storico. C’è una Italia, oggi, dove banchieri e burocrati hanno rimosso governi e assaltato le istituzioni. Una Italia non padrona di se stessa con un popolo che, sempre più, ne è consapevole. Quel popolo sempre zitto e ridicolizzato ma che, stanco, marciò su Roma; e questo non andrebbe mai dimenticato.
Siamo all’inizio di un ciclo storico di riscatto? C’è questa Italia intorno a noi. C’è un sussulto di dignità. Una voglia di tornare a comandare a casa nostra. E quella voglia di tornare a comandare ha la forma di tanti mitra: sono i mitra dei carabinieri che erano pronti a far fuoco sui marines accerchiati. Una immagine incredibile a guardarla oggi che è simbolo del riscatto nazionale, nazionalista, e patriottico che sta smuovendo le coscienza di un Paese stuprato in cerca di riscatto e di sovranità!