Siamo stati convinti per anni che in Italia vi fosse una dittatura. Era quella del Cavaliere e nessuno aveva diritto di dissentire o poter argomentare al riguardo. I profeti del bene come Benigni ci illuminavano indicandoci la verità incontrovertibile; scoprivamo in tempi recenti – non certo io che lo ribadivo ai tempi – che a illuminarsi era solo il conto in banca di questi personaggi ipocriti e senza scrupoli. Anche criticare queste persone era delitto e chi si permetteva era attaccato e pubblicamente deriso. L’unica retorica era quella antiberlusconiana che aveva ammantato la repubblica e la sua vita quotidiana di un ritornello stancante quanto a tratti patetico: era un nuovo ventennio, e il riferimento era al ventennio fascista. Peccato che Berlusconi, solo attraverso grandi consensi, a governare ci andò 8 anni o poco più. Dirlo era follia, il grande gregge ti proscriveva. O ti conformavi all’idea dominante o eri un berlusconiano; e quindi, per transitività, un ignorante. Amen.
Ricordo nettamente, e arrivo al punto del parallelismo con l’oggi, talune manifestazioni di piazza durante i governi del Cavaliere. Ricordo manganellate, certo; ma quello che ricordo, lo ribadivo e lo sottolineo ancor oggi, è che le manifestazioni come quella in occasione della riforma Gelmini non erano semplici e genuini risultati di un sentire; erano piuttosto vere e proprie guerriglie paramilitari con finti studenti incappucciati e dotati di qualsiasi tipo di supporto strategico e logistico, con cui venivano messe a ferro e fuoco le città. Al loro termine milioni di euro di danni e tanta gente che, come me, pensava che in quei casi qualche manganellata o reazione più corposa della polizia non fosse poi segno di una dittatura; anzi. Era vero il contrario; era impossibile non essere antiberlusconiano, altro che dittatura. Eppure era ciò che veniva detto. Non importava la constatazione dei fatti e il poter ammettere che quelle reazioni degli uomini dello stato non erano eccessive o fuori luogo. No, i giovanotti falce e martello dovevano trasformare le città in campi di battaglia e nessuno poteva toccarli, pena la denuncia da ogni dove, stampa compresa, di essere in un regime che impediva il libero dissenso.
Lo racconto perché fa una certa impressione paragonare i fatti di quegli anni a quello che accade oggi. E questo articolo nasce, in particolar modo, per quanto avvenuto a Palermo. Ragazzi col viso scoperto, senza nessuna intenzione di far guerriglia ma con solo uno striscione nelle mani, sono stati caricati dalla polizia che ha letteralmente blindato il centro della città per impedire che qualcuno dissentisse e rovinasse la recita del mondo incantato del Matteo fiorentino che si era recato in città per inaugurare l’anno accademico. La stampa locale, sempre asservita al potere, titola di entusiasmi e ovazioni, applausi e selfie. Selfie, si; e manganelli!
In piazza, con i ragazzi, un mio amico. E’ il professore Ignazio Buttitta e si deve a lui una testimonianza, sui social, circa quanto avvenuto e circa l’atteggiamento pacifico dei manifestanti che non sembrerebbero aver provocato una tale reazione. Qui, però, non vi è in corso un processo alle forze dell’ordine; potrebbe essere accaduto, lontano dai miei occhi e da quelli del docente, un fatto che abbia scatenato la reazione. Senza sentire la controparte è dovere lasciare il beneficio del dubbio. Ma vi è un altro processo, nel corso di questo articolo: è il processo a chi, per ogni non nulla, urlava al regime con Berlusconi e tace oggi. Dove siete finiti? Dove sono i grandi intellettuali che facevano girotondi e dipingevano di viola questa povera repubblica di pastori, pecore e retorica? Non hanno nulla da dire su questi ragazzi caricati dalla polizia? Perché quando non c’era affatto un regime lo denunciavano e adesso che se ne potrebbe parlare seriamente non dicono nulla? Sono scomparsi. Loro e la loro dignità.
Per questo il processo è senza appello e l’udienza per la condanna è stata fissata il 4 dicembre. E’ il giorno in cui l’Italia si sveglierà da un lungo incantesimo feroce, secondo il quale il popolo era stato convinto che la parola dittatura sarebbe terminata il giorno dell’omicidio politico del Cavaliere. Era invece, come nei grandi romanzi, proprio il contrario ma nessuno più aveva anticorpi validi al virus della retorica antiberlusconiana. Sembra che le cose stiano cambiando e la gente, lentamente, abbia capito e preso consapevolezza. Crollano uno dopo l’altro quei miti, finti intellettuali, che palesemente operavano in cambio di denaro e non per spirito di libertà. La condanna, il 4 dicembre, sarà per loro. E in ultimo per l’arrogante giovanotto di Firenze che, abituato a confrontarsi solo con primarie finte ed elezioni comunali, per la prima volta avrà personalmente a che fare con una falange macedone che prende il nome di popolo sovrano.