Sulla vera e propria invasione che, con barconi e mezzi di fortuna, è in corso ormai da tempo, si sono sentite le più disparate opinioni. La vicenda ha toccato varie sfaccettature, dalla quantità di denaro pubblico destinato alla gestione dei profughi all’utilizzo della Marina Militare che, attraverso l’operazione “Mare Nostrum”, si è resa protagonista di un fatto unico nella storia mondiale: un esercito che, invece di difendere i confini del suo Stato, aiuta chi vuole penetrarvi senza autorizzazione. E’ un tema che ha visto contrapporsi destra e sinistra, con la solita retorica dei buoni accoglienti e dei cattivi razzisti, lo sappiamo; ma oggi può e deve essere affrontato da un altro punto di vista: quello dei canali di ingresso fuori controllo che possono essere sfruttati anche dai terroristi.
Intendiamoci, non è mica adesso che questa possibile chiave di lettura viene a galla. Già da tempo tanti addetti ai lavori e opinionisti avvertivano che i confini Italiani e quindi Europei erano una groviera allettante per chi vuole fare perdere le proprie tracce, ma si è sempre liquidato il tutto facilmente. Oggi, dopo gli avvenimenti di Parigi, la riflessione nasce spontanea e siamo davanti a quel tipo di eventi che ci costringono a non fare più finta di nulla. Il problema c’è e va affrontato e questo per due motivi. Il primo è un motivo nel merito delle indicazioni che provengono dai servizi segreti. Le informative riguardanti la possibile presenza di terroristi sui barconi non mancano. Certo, ovviamente la maggior parte dei disperati che attraversano il mediterraneo lo fanno in cerca di un futuro migliore, ma una piccola parte di essi, in realtà, potrebbe essere parte di organizzazioni terroristiche che hanno base, purtroppo, anche ai confini di casa nostra; nella sponda sud del mediterraneo finita fuori controllo dopo le sciagurate “primavere arabe”. Questi poi, una volta introdotti nel nostro territorio, farebbero perdere le loro tracce e avrebbero assistenza in attesa, in certi casi, di espatriare verso il nord dell’Europa. E’ su questo che, addirittura, la Procura di Palermo ha aperto una inchiesta.
Ma c’è un altro motivo, questa volta di principio, per il quale il problema dei flussi dei clandestini via mare va arrestato. Subito dopo la strage di Charlie Edbo le discussioni relative alla libera circolazione delle persone in Europa non sono mancate. C’è chi ha parlato di sospendere Schengen ma, anche se non si arriverà a questo, di diminuire privacy e aumentare i controlli dei cittadini Europei; questo, in un modo o nell’altro, avverrà; come avvenuto negli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Ecco, io non vorrei vivere il paradosso di vedermi controllare dalla testa ai piedi per andare, chessò, in treno da Milano a Parigi, con la contemporanea mancanza di controlli per centinaia di migliaia di clandestini liberi di entrare senza documenti sul territorio Europeo e di sparire nel nulla. Io credo che questo sarebbe davvero troppo. I cittadini per bene a libertà limitata e vigilata e i clandestini liberi di andare a zonzo. Saremmo alle comiche.
Detto questo è mia opinione che questo problema della difesa dei confini europei dall’ingresso dei terroristi sia solo una delle cose di cui dobbiamo preoccuparci e certo non la più grave. Perché dico questo? Perché molti terroristi o soggetti pericolosi rimasti affascinati dalle sirene della guerra santa sono cittadini europei, con passaporto e residenza e che, spesso, non parlano neanche bene l’arabo. Si, il problema che si sta manifestando è immenso e ci fa capire che certe cose sono nate tantissimi anni fa e soltanto ora, dopo gestazioni di anni, stanno mostrando i frutti. Sono persone di seconda o terza generazione, figli di immigrati di vecchia data, ragazzi che hanno studiato nelle nostre scuole e che hanno ricevuto da “mamma Europa” casa e diritti. Ciò sconvolge non poco perché davanti a questa dura verità siamo disarmati e impotenti. Un esercito è visibile, posizionato e puoi organizzarti per combatterlo. Lo studente, il collega o l’idraulico della porta accanto che hanno deciso di dare man forte al terrore, sono invece qui a dirci che davanti a noi abbiamo dei fantasmi imprevedibili o quasi che possono colpire senza nessun preavviso. E le inutili e ripetitive frasi sul fatto che la maggioranza degli islamici sono pacifici rappresentano una verità che non porta nessun aiuto. Certo, tracciando le frequentazioni e i contatti dei malintenzionati, i servizi segreti possono monitorarli, come ci ha comunicato Alfano durante la sua esposizione in parlamento. Cinquantatrè sarebbero i possibili “soldati islamici” in Italia; ma quanti altri ce ne sono che non è stato possibile mettere sotto controllo? Non possiamo saperlo.
Le ultime righe mi portano a dover fare una seria riflessione su un tema che nei mesi passati è stato caratterizzato da scontri di non poca enfasi. Quello sullo “ius soli”. Ricorderete il tema: si tratterebbe di concedere la cittadinanza Italiana a tutti i nati sul nostro territorio. Ricordo che avere la cittadinanza Italiana significa, di conseguenza, avere libera circolazione in tutti gli Stati d’Europa. Ebbene la cosa, per me gravissima già prima dei fatti di Parigi, diviene smisuratamente allarmante oggi. Abbiamo infatti davanti ai nostri occhi una realtà che nessuno può più negare e cioè che famiglie islamiche che vivono da decenni nel nostro paese, hanno visto figli e nipoti, nostri concittadini, non integrarsi a tal punto da diventare parte di organizzazioni terroristiche. La domanda sorge spontanea: se questo si è verificato in contesti dove la cittadinanza la si è ricevuta dopo tantissimi anni, quanto e in che misura potrebbe avvenire concedendo la cittadinanza solo per nascita? C’è il rischio concreto che, così facendo, in venti anni di nascite la situazione possa sfuggire di mano. Ho sempre sposato la causa, e oggi ancora di più, dello “ius culturae”; e cioè un concedere cittadinanza attraverso un percorso dove sia provata l’integrazione culturale del soggetto. Queste parole fino a qualche mese fa, da molti, erano tacciate di razzismo ed eccessiva chiusura. E’ possibile affermare, oggi come allora, che si tratta solo di posizioni di buon senso.