Non è uno scontro di civiltà, si dice, ed in parte è vero; non è l’Islam ad uccidere ma dei terroristi che mascherano il loro operato attraverso il corano, si dice, ed in parte è vero; l’Isis non nasce per religione ma è stato armato per errori geopolitici dell’occidente, si dice; ed in parte è vero. “In parte”. In parte è, infondo, la locuzione più importante che io possa utilizzare per iniziare un percorso di difficilissima disamina su quanto avvenuto a Parigi. Dopo la carneficina, infatti, superato lo sgomento, è iniziata una battaglia senza quartiere tra due opposte tifoserie. Fazioni, entrambe estreme ed in errore, che hanno visto da un lato i sostenitori senza quartiere della battaglia religiosa e dall’altro coloro i quali non intendono neanche accennare alla religione e si rifugiano soltanto nelle spiegazioni geopolitiche che sarebbero all’origine di quanto sta avvenendo. Lo scontro, lo abbiamo visto tutti, si è tutto svolto attorno alla figura di Oriana Fallaci il cui gradimento, o meno, è diventato discriminante nella valutazione di chi abbiamo di fronte. E se la verità fosse nel mezzo?
Lo sappiamo e lo sappiamo bene: l’imperialismo americano ha creato disastri in ogni dove. Oggi i nostri occhi sono puntati sul califfato ma soltanto poco tempo fa il mondo era concentrato nell’analisi della temibile Al-Qaida: l’organizzazione terroristica islamica sunnita che era guidata dal dimenticato Osama Bin Laden. Abbiamo visto questa organizzazione terroristica essere protagonista, per anni, delle cronache e di tantissime azioni; ma sappiamo che è da Peshawar che nacque il reclutamento, da parta della CIA, per armare i miliziani contro le truppe sovietiche, in una delle guerre più importanti avvenute che ha avuto effetti importantissimi fino ai giorni nostri: la prima guerra d’Afghanistan sul finire degli anni ‘80. Entrare nel merito è oltre le mie competenze ma certamente è pacifico ammettere che l’operato degli Stati Uniti sia stato quello di finanziare delle milizie per affrontare azioni di contrasto nell’immediato o breve termine, non curandosi delle conseguenze future o della possibilità di una perdita del controllo di questi gruppi armati che, una volta raggiunta una certa indipendenza, ti si possono rivoltare contro.
L’Isis nasce in Iraq per effetto del rovesciamento di Saddam. E’ dall’esercito iracheno sconfitto che molti soldati, infatti, si riciclano. Il percorso decennale di crescita ci fa accorgere di questo problema solo in tempi recenti con la conquista, oltre all’Iraq, di fette di territorio Siriano e, a causa dell’uccisione di Gheddafi, della Libia. La proclamazione dello Stato Islamico, la distruzione dei siti archeologici come Palmira e lo sgozzamento di ostaggi occidentali diventano cronaca quotidiana. Ma nessuno pone l’attenzione su un particolare: l’unico regime che non si è riusciti a rovesciare per sostituirlo con un governo filoamericano è quello siriano di Assad e l’Isis gli combatte contro. La Siria, un paese ricco, uno dei pochi stati al mondo non schiavo del fondo monetario internazionale e da millenni al centro di lotte per la sua conquista, vede una guerra civile nata come costola delle “primavere arabe”; finte rivoluzioni che, con la regia del premio nobel per la pace Obama, hanno fatto sprofondare nella guerra e nel sangue tutto il Nord Africa e il Medio Oriente (non si registrano marce per la pace arcobaleno come fu con Bush; ma questa è un’altra storia…). Un caos che rischiava, fino a pochi mesi fa, di evolversi in un conflitto mondiale, con Russia e Cina a difendere il regime al governo e l’area atlantica intenzionata a bombardare le truppe governative. Ed il lettore non deve dimenticare che quanto sto scrivendo è avvenuto in contemporanea all’operazione politica e militare contro Putin, condotta dagli Stati Uniti in Crimea. In una analisi geopolitica, infatti, non bisogna osservare gli eventi in modo singolo o locale, ma inserirli in un quadro di contesto storico di insieme, considerando tutti i fatti che si sono svolti, in un certo periodo storico, in ogni dove; è la stessa logica, mi dilungo un attimo perché lo devo alla storia, per la quale non dobbiamo dimenticare l’attacco internazionale alla leadership di Berlusconi che è avvenuto, guarda caso, successivamente ad accordi strategici ed energetici proprio con Gheddafi e Putin. Al momento in cui i fatti avvengono si brancola nel buio o si crede alle finte verità con cui ci coprono gli occhi; ma dopo anni il cerchio si chiude, dandoci una visione ampia degli eventi e fornendoci tante, tantissime risposte su ciò che è stato. Tornando alla Siria, in tutto questo, non dimentichiamolo, c’è l’Isis che, quindi, nonostante gli Stati Uniti abbiano bombardato mezzo mondo, viene lasciato operare ed espandersi indisturbato, in chiave anti Assad: lo scopo è abbattere il dittatore siriano che, però, resiste. Da questo mancato intervento, per tantissimo tempo, contro i tagliagole, nasce un periodo in cui essi, liberi di operare, vendono il petrolio dei territori conquistati e raggiungono una disponibilità economica e di mezzi spaventosa. E siamo ad oggi: ecco che, in poche righe, ho dato torto a Oriana Fallaci. Ecco che, in poche righe, ho sposato le giustissime tesi di chi si affanna solo a dare letture geopolitiche degli eventi; sacrosante, veritiere; ma deficitarie: è tutto? No!
E’ doveroso, infatti, osservare la “questione islamica” da un’altra angolazione. E da questa, è innegabile, ci appare sotto gli occhi un conflitto reale dato da motivazione religiosa. L’analisi è prima di tutto attuale ma la si può condire di parallelismi storici. Dobbiamo avere il dovere e l’onestà di ammettere che le minoranze islamiche sono le uniche che, nei paesi che le ospitano, generano conflitto. E’ ovvio: per un cittadino islamico la legge religiosa corrisponde alla legge dello stato. Se un cattolico vive in Italia risponde al codice civile e penale, non alla Bibbia. Se va a vivere in Canada o in Germania trova assolutamente normale dover rispondere alle leggi di quello Stato. Nel caso degli islamici questo spesso non avviene. Lo abbiamo visto ad esempio con l’utilizzo del burqa, dato il divieto vigente di circolare a volto coperto. Vi sarete già accorti che non sto parlando di bombe, di attentati o stragi; ma di vita quotidiana, di convivenza. Ecco il punto che non vuole essere trattato, che molti si ostinano a non considerare come pericoloso e da affrontare. Affermare che non tutti gli islamici sono terroristi è tanto vero quanto è ridicolo sottolinearlo. Ed è una frase pericolosa: perché è utilizzata non come punto di inizio di una riflessione più profonda ma come conclusione di qualsiasi tentativo di andare oltre. Lo chiamo, lo chiamava la Fallaci, prosciutto sugli occhi! Se tutte le azioni criminali come la strage di Parigi o l’assassinio di Theo Van Gogh vengono sbrigativamente bollate come opera di fanatici da non considerare, non posso accettare che questo abbia come scopo il mettere una pietra sopra alle tantissime manifestazioni di intolleranza da parte di cittadini europei islamici non certo annoverabili tra i terroristi. Le manifestazioni di ieri contro il terrorismo non hanno nessun valore se poi le stesse persone hanno intolleranza verso le nostre tradizioni. Abbiamo già dimenticato la violenta arroganza del Presidente dell’Unione musulmani d’Italia Adel Smith? Egli non lottò in modo rispettoso contro la presenza del crocifisso nei luoghi pubblici ma lo fece insultando e deridendo la figura di Gesù in modo dispregiativo. Pochi islamici in piazza San Babila bastano per dimenticare? Non per me!
Oltre ad aver visto tanti festeggiare apertamente, va detto che l’ambiguità con cui moltissimi seguaci di Maometto non condannano apertamente le stragi la dice lunga. “Sei d’accordo che in nome della religione non si possa uccidere?”. La quantità degli islamici non terroristi che, in questi giorni, a questa domanda ha cambiato discorso è incredibile. Gente con cui condividiamo le nostre giornate. Ed è incredibile e gravissima la quantità di addetti all’informazione o politici che minimizzano e non sottolineano la gravità di ciò. L’intolleranza verso i simboli cristiani, le nostre tradizioni religiose, è inutile argomentarla per dimostrarla: sappiamo tutti come stanno le cose. Come dissi dopo la sparatoria a Charlie Hedbo noi non siamo in guerra contro i terroristi ma, nella nostra quotidianità, contro chi pretende di levare il crocifisso dai nostri uffici, contro chi pretende che i nostri figli non facciano le recite natalizie, contro chi non si fa bastare la possibilità di mangiare pollo in una mensa con più scelta di cibo, bensì pretende che il maiale non sia presente privando gli altri del diritto di mangiarlo. Siamo in guerra contro i terroristi ma anche contro tanti non violenti; che non vogliono solo difendere la propria cultura ma limitare il nostro diritto a vivere secondo la nostra.
Le colpe di questo, devo ammetterlo, non stanno solo tra gli islamici intolleranti; perché essi hanno soltanto trovato terreno fertile in un’area culturale progressista che per prima si è battuta per limitare le nostre tradizioni religiose. Il motivo meriterebbe un articolo a se ma è presto detto: la sinistra italiana, non in termini strettamente politici ma anche guardando all’area culturale che condiziona la nostra società, in larga parte discende dalla tradizione comunista ideologicamente marxista. La sinistra comunista odia Dio e odia l’uomo cristiano. E la lotta odierna, ossessiva, contro la Chiesa e Cristo, ad esempio sui temi etici, è figlia di quella tradizione e del rimpianto per quell’ uomo nuovo che doveva vivere nell’ “ordine nuovo” gramsciano; che forse sognano di voler creare ancor oggi; non essendoci riusciti bruciando le chiese e sterminando i preti nei gulag. Ecco, quindi, che la storia delle intolleranze islamiche si condisce di una apostasia del cristianesimo esercitata in ogni dove e senza sosta, da anni, da chi ha utilizzato il laicismo come cavallo di Troia per condurre la propria battaglia culturale. Un laicismo talebano, violento, che è stato sbandierato non per tutelare, giustamente, le diversità religiose che possono e devono coesistere, con pari diritti, in un stato laico, bensì con lo scopo di distruggere la cultura cristiana. Ma la cultura cristiana è alla base della nostra civiltà, ci rappresenta, appartiene anche agli atei. Scomparsa essa scompariremo anche noi.
“Perché dobbiamo dirci cristiani?” E’ questo il titolo di un testo fondamentale, scritto da Marcello Pera qualche anno fa, dove con una straordinaria disamina egli argomenta l’importanza della nostra formazione cristiana nonostante l’emancipazione moderna ci abbia reso laici. Perché il cristianesimo ha seminato valori oggi non più strettamente religiosi; valori che fanno parte di noi e hanno condizionato i processi di cambiamento della nostra società; valori irrinunciabili. Siamo, tutti, cristiani, cattolici o atei, uomini europei, “sociologicamente cristiani”. Pochi lo sono consciamente, molti inconsciamente. “Ama e fa ciò che vuoi”: quanto, del pensiero di Sant’Agostino, è dentro ognuno di noi e guida il nostro vivere senza neanche rendercene conto? Lo stato laico ha creato possibilità, a livello legislativo, di dar manforte allo scardinamento della cultura cristiana. Ecco quindi l’humus su cui l’intolleranza islamica ha posto le basi di una invasione concreta, che non è favola ma è stata promessa, denunciata più di una volta da leader islamici importantissimi, e che ogni giorno compie passi in avanti anche grazie alle leggi sulla cittadinanza per gli immigrati di seconda generazione, posto che la natalità tra gli islamici è altissima a differenza degli europei. La visione per la quale essi vorrebbero, fisicamente, ammazzarci tutti, può essere certamente contrastata con ilarità. Ma il nostro assassinio non è fisico, è culturale: verremo assassinati e cesseremo di esistere come civiltà: il percorso è già in atto e solo cecità, malafede o ignoranza possono farlo negare. Ecco, quindi, che con un’altra chiave di lettura possiamo e dobbiamo dare ragione ad una Oriana Fallaci che denunciava questa lenta ma inesorabile conquista dell’Europa. Che è sotto gli occhi di tutti! Cosa fare, quindi?
Se oggi possiamo fare una analisi geopolitica che spieghi le ragioni delle stragi abbiamo, però, centinaia di anni di storia a guardarci dove trovare fonte di comprensione degli eventi odierni. Le invasioni islamiche non nascono oggi e le tanto odiate crociate nacquero come reazione a lunghissime e sanguinose dominazioni fino alla Francia. A Lepanto non c’erano il petrolio o le bombe americane ma, certo, c’era la flotta ottomana che mirava al controllo del mediterraneo. Ecco; forse, tra le tante metafore della battaglia che dobbiamo affrontare, vi è quella di Lepanto. Perché è in quella battaglia che l’ostentazione della Croce diventa leggenda e può tracciare la rotta per la salvezza. Non vi è una vera guerra oggi; non ancora. Non vi sono armate cristiane schierate contro armate musulmane; ma credo che la nostra civiltà possa salvarsi soltanto limitando gli effetti malefici del laicismo, mettendo in campo una vera e propria operazione culturale, su tutti i fronti, di tutela delle nostre radici religiose che sono fondamenta del nostro vivere. Una battaglia senza sosta in difesa dell’uomo europeo “sociologicamente cristiano”, anche attraverso opera legislativa. Ostentando, come avvenne in quella battaglia navale, i simboli cristiani in ogni dove e pretendendo il loro rispetto. Fuoriuscendo quindi dallo smarrimento attuale e tornando ad essere una comunità cementificata da una identità; quindi capace di difendersi dagli attacchi esterni ma, soprattutto, dai nemici interni… “In hoc signo vinces”!