Greta e Vanessa sono a casa. Le immagini di amici e partenti felici non possono che far piacere; un piacere a cui ci accodiamo tutti, ovviamente. Da quanto raccontato fino ad ora le ragazze rapite in Siria avrebbero cambiato più volte prigione e sarebbero state trattate, a volte, con durezza; ma non avrebbero mai subito abusi o violenze. Questo rincuora data, in più, la loro giovane età. Hanno riabbracciato i genitori e l’Italia.
Chi mi conosce avrà già storto il naso e starà pensando che queste frasi politicamente corrette non mi si addicono; è vero: anche questa volta ho visto come, sui media, nel panorama politico e in genere, chiunque si sia permesso di uscire fuori da questi binari sia stato subito aspramente criticato; zittito sotto i colpi di chi afferma che riportare a casa a “tutti i costi” dei concittadini rapiti sia un dovere dello Stato. Questo mi ha dato molto fastidio, come sempre in questi casi; e su questa vicenda io mi permetto di pensarla così solo a metà e cioè di essere strafelice che le ragazze siano a casa ma con dei distinguo che vorrei argomentare.
La vicenda che ha visto l’Italia, a quanto pare, pagare l’ennesimo riscatto, questa volta stratosferico, a dei terroristi, rientra tra le tante avvenute in questi anni. Il Ministro Gentiloni, lo scrivo per dovere di cronaca, nega questo pagamento ma le fughe di notizie ci hanno dato come indicazione 12 milioni di dollari. Certo, se c’era da organizzare un attentato in Vaticano, ora i soldi ci sono. Battute, ma mica tanto, a parte, da molto tempo i Paesi occidentali, per le loro azioni di guerra in territori difficili, vedono una costante opera di rapimenti dei loro cittadini da parte di organizzazioni e bande di varia natura. Questi avvenimenti lasciano chiaramente libertà di scelta, agli Stati, sul come comportarsi. Libertà di scelta che non mi trova d’accordo. Constato ormai da tempo come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna hanno criticato l’operato di chi paga i riscatti. Il cane, infatti, morde la coda. Si, siamo contenti che un rapito torni a casa ma è davvero così giusto farlo tornare a costo di pagare? E’ giusto che il povero reporter americano finito nella mani nell’Isis sia stato sgozzato e altri no? E’ corretto che alcuni Paesi, per non finanziare i terroristi, tentino blitz per liberare gli ostaggi ma si rifiutino di pagare, mentre altri invalidano questi sacrifici umani sovvenzionando a suon di riscatti coloro i quali, con quei soldi, si riforniscono di armi e continuano la loro opera di morte? Non è difficile capire, da queste domande, che la vicenda può, per molti, rimanere senza risposta lasciandoci a cavallo tra il si e il no; tra il non è giusto pagare e il però… Certo, c’è il cuore, ci sono i sentimenti che ci condizionano; ma questo può riguardare noi persone normali, mai una classe dirigente e le istituzioni che, con fermezza, devono fare ciò che è giusto anche se difficile; come dichiarare guerra, se è il caso. O non pagare un riscatto. Perchè che questo modo di operare, pagando i riscatti, abbia molti lati negativi non vi è dubbio. La prima cosa da dire è che ciò mette a rischio la vita, ad esempio nel nostro caso, di qualsiasi italiano in giro per il mondo che, data la fama del nostro Paese, verrà certamente visto come un assegno circolare pronto da incassare. L’Italia come una specie di bancomat pronto a elargire. La seconda cosa che sto pensando, e mi rifaccio a quanto accennato qualche rigo sopra, è la mia contrarietà al fatto che Paesi che lottano contro lo stesso nemico e che fanno parte di coalizioni internazionali militari che si prefiggono gli stessi scopi, si comportino in modo diverso di fronte al nemico comune. Mi spiego: domattina, all’ennesimo rapimento di un americano, gli Stati Uniti potrebbero dire di voler pagare, in quanto il sacrificio di molti suoi cittadini rapiti e uccisi per non cedere al ricatto, sono stati vanificati da chi, invece, si è piegato. Questo non farebbe una piega ma provocherebbe una valanga di rapimenti in tutto il mondo e una valanga di soldi, che attraverso i riscatti, finanzierebbero i terroristi. Ciò non avverrà mai, credo; ma chi potrebbe mai dire nulla all’America? Pagare sarebbe suo diritto come lo è stato per noi, no? Proprio per questo credo che la questione vada analizzata in modo serio dalle classi dirigenti dei Paesi cosiddetti “occidentali” che fanno fronte comune. Dopo i fatti di Parigi si è, chiaramente, palesata la realtà di una guerra tra “noi e loro” che potrebbe durare tantissimi anni. Per questo credo sia corretto da un punto di vista operativo, oltre che da quello morale, essendo questa una battaglia comune, creare un tavolo internazionale dove si prenda una decisione comune sulla questione dei rapimenti e in base alla quale si comunichi, ai cittadini dei rispettivi Paesi e al mondo, cosa avverrà in caso di altri rapimenti. Perché o paghiamo tutti o non paga nessuno! O salviamo la vita di tutti o quella di nessuno!
Da un altro punto di vista, e concludo, vorrei sottolineare una cosa che ritengo gravissima. E’ una questione di principio. Anche se l’epoca dei sequestri in Italia è lontana, tutti noi ricordiamo vicende dolorose di persone facenti parte di famiglie abbienti che vennero rapite per scopo di riscatto. Ebbene ricorderete tutti che in questi casi lo Stato italiano sequestrava i beni e i conti corrente delle famiglie per impedire di pagare riscatti; la normativa in merito prevede ancora questo. Una normativa che condivido e che è servita a rendere talmente difficile il far avvenire il pagamento di riscatti, se non impossibile, che questa pratica ha visto il tramonto. Di grazia, con che diritto lo Stato Italiano, che paga riscatti milionari coi soldi di tutti, impedisce ad un padre di famiglia di liberare il figlio rapito, pagando un riscatto con denaro di sua proprietà?