Più di trecento anni di storia britannica potrebbero tra poco essere spazzati via da uno dei referendum più importanti della storia moderna: quello sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito. Lo Scottish National party ed il suo leader Alex Salmond sono riusciti, dopo anni di campagna secessionista, a conquistare la maggioranza parlamentare di Edimburgo: nasce da qui, da questo importante peso politico del movimento, il concretizzarsi di un referendum che, altrimenti, difficilmente avrebbe mai visto la luce. Da giorni, ormai, i dati sulle intenzioni di voto tengono tutta l’Europa incollata alla tv. L’euforia dei secessionisti è alle stelle in maniera direttamente proporzionale al timore, comprensibile, di chi punta sul mantenere l’unione. Le preoccupazioni sono giustificate dai sondaggi che ci dicono come l’esito del voto sia in bilico, dopo diverso tempo in cui i secessionisti erano stati in svantaggio anche di dieci punti percentuali. Oggi, invece, si parla di distacchi dell’1% che suggeriscono cautela nelle previsioni; considerato anche che, se le cose stanno così, una scelta così importante, direi epocale, potrà essere decisa con una manciata di voti. E’ per questo, per recuperare anche un solo voto degli indecisi, che il premier Cameron ha avviato una campagna di rassicurazioni verso il popolo scozzese che, in caso di sconfitta dei secessionisti, vedrà una maggior indipendenza in ambito fiscale o nel welfare; insomma: una maggiore autonomia legislativa. Le preoccupazioni di Londra sono ovvie. In gioco non c’è soltanto la storia ma, ad essere schietti, la portata dei cambiamenti possibili. La Scozia detiene la maggior parte dei giacimenti petroliferi del mare del nord, che cesserebbero di concorrere al PIL Britannico. Si aggiunge il timore della banche per il futuro della sterlina che, sui mercati, non avrebbe più la stessa forza. Un cataclisma che vedrebbe nascere, probabilmente, degli effetti a catena in parte imprevedibili.
Non solo un referendum oltre manica, infatti, è in gioco. Sappiamo tutti che la storia dell’Europa e della moneta unica potrebbe d’improvviso cambiare. I movimenti secessionisti nei vari Paesi del vecchio continente non sono certo una novità. Da anni, ad esempio in Spagna, i catalani sognano l’indipendenza. Questi, con la vittoria dei secessionisti scozzesi, vedrebbero un grande salto in avanti delle proprie pretese e della propria fama mediatica, che si diffonderebbe ovunque. Il coraggio del nuovo, del lasciarsi dietro le spalle le paure di una indipendenza descritta, dai suoi detrattori, come un “diventare pesci piccoli” nel mondo globale delle grandi potenze, potrebbe fare da apripista ad una gran quantità di iniziative non soltanto legate a piccole regioni ma ad interi Stati. Si, io penso che non sia azzardato dire che la portata simbolica di una Scozia fuori dal Regno Unito potrebbe fare da esempio per una Francia o un’Italia fuori dall’Europa; vi è una nesso di proporzionalità, infatti, tra le ragioni che spingono pezzi di nazioni a volere l’indipendenza dal proprio “stato padrone” e pezzi di Europa, gli Stati, che vedono sempre di più affermarsi le forze che chiedono di liberarsi dell’Europa padrona. Il perché è presto detto. I movimenti secessionisti regionali sono mossi sempre, più che altro, da ragioni economiche. I popoli di questi luoghi si credono, a torto o ragione, spesso a ragione, vittime di un livello superiore, lo Stato, che ne limita le potenzialità o, spesso, le sfrutta a vantaggio di un’altra parte meno ricca e produttiva del Paese. Sentimenti umani di ingiustizia conditi da processi sociologici identitari, di appartenenza, fanno da cornice a fenomeni che, però, ovviamente, vedono crescere il loro consenso tanto più vi è difficoltà nella vita reale delle persone; a livello economico, di sostentamento, di fiducia nel futuro. La grande crisi di sistema, e non economica, che sta avvolgendo l’Europa, è un fenomeno chiaramente diverso e di portata differente ma, a ragionare, non è azzardato osservare come la grande similitudine con quanto detto sopra è sotto gli occhi di tutti. La voglia di indipendenza e il grande aumento di popolarità dei movimenti antieuro e antieuropa, con le dovute proporzioni, può essere paragonato alla voglia di indipendenza degli scozzesi o dei catalani. Le parole chiave e i segni distintivi sono gli stessi. Chiudersi a riccio, identificarsi come popolo, nel tentativo di difendersi da un livello superiore che, per gli Stati nazione, si chiama Europa. Chi contrasta gli indipendentisti spesso fa leva sulla paura di un futuro incerto e denso di pericoli. Questa è un’altra similitudine con le campagne per difendere la moneta unica che si basano sulla paura, parlano di effetti devastanti sulle nostre vite in caso di uscita dall’euro, intimorendo i popoli. A mio avviso il grande referendum Scozzese non è una semplice consultazione dove verrà decisa l’indipendenza della Scozia. La portata simbolica avrebbe implicazioni importanti in quella che, a guardar bene, è una lotta all’ultima x tra la paura ed il coraggio. Sentimenti entrambi contagiosi, che trascinano con loro le masse. Se vincerà il no, prevarrà la paura e questa diventerà simbolo, smorzerà entusiasmi e sogni. Se, però, in caso contrario, vincerà il si, si diffonderà il coraggio! E Bruxelles avrà di che preoccuparsi. Perché il coraggio, oltre ad essere contagioso, è rivoluzionario!