Se è vero che l’ossatura culturale dei partiti politici spesso, in passato, si palesava in modo marcato e predominante nel loro elettorato è anche vero, in una chiave di lettura a tutto tondo, non anacronistica e di osservazione reale degli eventi, che questa caratteristica può dirsi parzialmente superata; certamente superata in momenti di crisi sociali ed economiche, dove a comandare quelle matita dentro il seggio non è la propria cultura politica ma, spesso, la nostra paura, la voglia di protestare, di reagire per sognare un futuro migliore. Cosa si nasconde, se non questo, nell’avanzata del Front National francese?
Mi ha molto sorpreso, nonostante la mia consapevolezza sulla pochezza analitica e sui vecchi vizi di certi commentatori, che questo fenomeno sia stato descritto banalmente come rigurgito di fascismi e populismi, con il malcelato intento di proscrivere il tutto additandolo come qualcosa fuori dal perimetro del lecito o, quantomeno, del moralmente accettabile.
Mi ha molto sorpreso per due motivi: il primo storico, il secondo è di dialettica politica. Si può, nel 2017, parlare di fascismi, denunciando la loro rinascita? Ha senso farlo guardando al Front National? E si può continuare, come da sempre si fa da sinistra, a descrivere come fascista qualsiasi cosa fuoriesca dal proprio perimetro? Io sono convinto che uno dei motivi della cecità di alcuni osservatori progressisti, anche politici, stia proprio in questo imperativo categorico del dare del fascista a qualsiasi fenomeno, come fosse un obbligo culturale, un segno di riconoscimento e identificazione. Se ci sono i fascisti, ci sono anche gli antifascisti; loro, la parte migliore della società. Aiuta questo atteggiamento a riflettere su quello che accade intorno a noi, a capire gli avvenimenti e perché no, se negativi, a porvi rimedio con “risposte politiche”? Secondo me no, affatto: questo è un atteggiamento autoreferenziale che non ha nulla di serio, di costruttivo e, mi permetto di dire, di intellettualmente valido. La solita compilazione della lista dei buoni e dei cattivi secondo metodi di razzismo culturale non aiuta a comprendere gli eventi. Se una analisi seria dei fenomeni sociali può infatti portare a soluzioni e rimedi, questo modo di operare, invece, pone le condizioni perché certi fenomeni prolifichino. Tra i tanti esempi che potrei portare ci sono le argomentazioni addotte sul successo della Le Pen che nei sondaggi risulta essere vicina alla vittoria, come se questo fosse figlio di un aumento di motivazioni e spinte ideologiche. Niente di più sbagliato.
É serio e costruttivo, invece che “liquidare la pratica” sbrigativamente, fare un’analisi pacata delle reali motivazioni di questo voto che convoglia una fetta talmente importante e variegata di società francese tale da non poter essere descritto banalmente come il voto “degli estremisti”. Dovrebbe essere evidente a tutti che le motivazioni che portano a questa scelta elettorale non sono più, appunto, culturali; ma di pancia, di paura, di sogni e di speranza. I problemi, in Francia, sono simili a quelli della nostra cara Italia e derivano da un’immigrazione selvaggia e dalla criminalizzazione delle culture nazionali sull’altare di un internazionalismo che ne ricorda, con terrore e le dovute differenze, un altro più antico.
I parlamenti degli Stati Nazione, esautorati dalle loro funzioni, con i governi rimossi in alcuni casi, si sono ritrovati a ratificare trattati e norme che stanno distruggendo – secondo me volontariamente per la creazione di un mercato atlantico con manodopera a basso costo – tutto quel patrimonio fatto di conquiste passate e che erano diventate ai nostri occhi sacre e intoccabili. Assistiamo al progressivo smantellamento dello stato sociale, delle garanzie nel mondo del lavoro e alla riduzione dei salari come unico strumento di competitività all’interno della “gabbia monetaria” creata dall’euro.
Questi ultimi, tecnicismi che hanno trovato sfogo politico in Francia nel Front National. Sono fascisti il disoccupato, l’impiegato, il panettiere, lo studente? Sono estremisti il medico, il notaio, l’avvocato o il magistrato? Perché questa iscrizione nella lista dei cattivi, di cittadini di qualsiasi estrazione culturale che con l’adesione a quel movimento hanno trovato un punto di riferimento non ideologico ma pragmatico, concreto, reale e senza giri di parole a difesa delle proprie vite? Perché non riflettere in modo costruttivo sui motivi che hanno creato trasversalmente un desiderio impellente di difesa della propria dignità di popolo e di quella della Patria Francese? Si tratta, infatti, di un argine contro la paura. Una paura che andrebbe analizzata con serietà dai blocchi centristi per comprendere le necessarie misure politiche da adottare per reagire e scongiurare la presa di potere di movimenti che siedono nelle parti laterali degli emicicli; c’è questa distruzione degli Stati e delle vite dei cittadini europei e chi si rifiuta, reagisce, e vota per movimenti che combattono contro questa barbarie è indicato come fascista e populista! Un esercizio stupido e mediocre.
Capire quello che sta accadendo in Francia ma anche in tanti altri Paesi del vecchio continente, sembrerebbe opera difficile a sentire molti commentatori e addetti ai lavori dell’informazione che mistificano la realtà dipingendola, loro sí, in modo ideologico, fuorviante e con logiche da contrapposizione. In realtà basta un piccolo esercizio di analisi logica; questo, in un attimo, ci suggerisce la risposta al grande quesito del perché tanti francesi, per niente estremisti, abbiano preso quella direzione elettorale. Il movimento della Le Pen è composto da due parole. Una è “Fronte”, l’altra è “Nazionale”. Credo ci sia poco da aggiungere. Basta sforzarsi poco per capire. Possono pure chiamarli fascisti ma sono solo cittadini comuni che sono stati chiamati a combattere una guerra; e la stanno combattendo con grande compostezza, senza violenza e con i soli strumenti della democrazia. E questo meriterebbe il rispetto di tutti.