di Sabrina Corsello
Ancora fatichiamo a crederci, ma tutto è realmente accaduto. Si lavorava, si studiava, si conduceva una vita normale quando, all’improvviso, tutto si è fermato. Ogni nostra libertà è stata sacrificata sull’altare del bene più prezioso, la vita. Nessuna certezza sull’origine di un virus impazzito, forse uscito da un laboratorio cinese, forse modificatosi in natura, passando dal pipistrello all’uomo. C’è persino chi ha parlato di un esperimento sociale (ben riuscito, a quanto pare) per metterci tutti alla prova e capire come ci saremmo comportati davanti a una minaccia così grave, come quella di una pandemia. L’eccezionalità della condizione apre non poche questioni riguardo il nostro stile di vita e i nostri comportamenti, ma ci riporta anche a un tema fondamentale come quello della legittimazione dell’obbligo politico.
Per prevedere come ci saremmo comportati, a ben vedere, non era necessario alcun esperimento sociale, sarebbe bastato leggere Thomas Hobbes, il filosofo dello Stato assoluto in età moderna. Al centro della sua opera filosofica la domanda su come sia possibile legittimare il potere assoluto, ossia quel potere che è sciolto da ogni vincolo. Cosa potrebbe esserci di così grave – egli si chiedeva – da determinare l’uomo alla rinuncia di ogni sua libertà a favore di un sovrano? Hobbes trova la sua risposta in quella che egli considera la passione dominante di ogni uomo: la paura della morte. Il terrore di perdere la vita, ecco cos’è che rende l’uomo docile ad ogni rinuncia e che lo persuade a consegnare tutte la sua libertà – lo jus in omnia – nelle mani di un sovrano che però può essere riconosciuto come assoluto, solo se e nella misura in cui, egli sia in grado di assicurare quello stato di sicurezza che è garanzia di vita.
Sono passati quasi quattrocento anni e le tesi di Hobbs ci appaiono ancora come una profezia. Come non pensare infatti ai giorni del Covid come ad una sorta di stato di natura originario in cui, per la stessa paura della morte, ciascuno di noi ha dovuto rinunciare a ogni libertà, a quella di a muoversi, di lavorare, di incontrare gli affetti più cari, di protestare e persino di celebrare la Pasqua!? Abbiamo prestato obbedienza persino ai comandi che noi stessi abbiamo ridicolizzato, come quello che ci imponeva di incontrare solo congiunti definiti all’interno di relazioni stabili. E tutto questo per cosa, se non sempre per la stessa passione che da sempre domina l’essere umano, la paura delle paure?
Tuttavia non tutto coincide, se è vero che persino per il maggior teorico dell’assolutismo politico, la rinuncia della libertà ha un limite, oltre il quale la disobbedienza diviene lecita. Tale limite non può che essere dato che dallo stesso fine per il quale il sovrano è legittimato e che porta a una delegittimazione tutte le volte in cui il sovrano non sia in grado di garantire la salvaguardia della vita.
Possiamo considerare la pandemia una condizione analoga allo stato di natura hobbesiano, in cui ad un certo punto siamo piombati in una paura della morte tale da farci digerire persino la sospensione della nostra democrazia. A suon di DPCM abbiamo dovuto rinunciare a libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, senza nemmeno esigere il doveroso passaggio Parlamento. Su questa stessa paura è stato fondato un potere molto simile ad una sorta di stato di polizia. Chi potrà mai dimenticare la mole di forze dell’ordine ovunque presenti: polizia, carabinieri, soldati con i mitra, droni, elicotteri! Tutte forze dispiegate per dare caccia a chiunque osasse uscire da casa. Penso a tutti noi rimarrà impressa nella mente l’immagine dell’elicottero che insegue l’unico uomo presente in spiaggia, come se fosse il peggiore terrorista.
Davanti a questo stato di cose, una domanda si impone: il nuovo Leviatano ha davvero meritato la rinuncia alla nostra libertà? Si è davvero guadagnato la nostra obbedienza? E soprattutto è stato in grado di garantire quello stato di sicurezza indispensabile alla salvaguardia della nostra vita? Il dibattito è ancor aperto, ma ben pochi sarebbero disposti a smentire che dinanzi all’emergenza sanitaria ci è davvero mancato l’essenziale: dai dispositivi individuali di protezione, ai tamponi, al personale sanitario, ai posti letto in ospedale.
Se le cose sono andate così, la domanda sulla legittimazione dei pieni poteri allora non solo è opportuna, ma si impone, perché se di Leviatano non è possibile parlare, ciò non è perché sia mancato l’uso della vis coactiva, ma perché è mancato ciò che tale forza avrebbe legittimato: la garanzia della vita. Se protezione c’è stata, infatti, questa non è venuta dallo Stato, ma dalla responsabilità di ciascun cittadino e dalle mura della sua casa. Siamo stati noi i migliori protettori di noi stessi, guidati da un sano istinto di conservazione e dalla consapevolezza che quel sovrano, in fondo del grande Leviatano aveva solo la forza della minaccia, non certo la capacità di preservarci. La speranza è allora che sia giunto il tempo di abbandonare la politica della paura della minaccia propria di un’età infantile e di passare a una politica della responsabilità, propria di un’età adulta. In fondo abbiamo dimostrato di meritarcelo.