Se vivessimo in un Paese normale tutti voi, leggendo il titolo di questo articolo, non avreste reagito incuriosendovi bensì con normale consapevolezza. Se vivessimo in un Paese normale avreste reagito pensando alla vostra vita; a quanto studiato a scuola; a quanto imparato attraverso i testi ufficiali, i libri; o attraverso i tantissimi film al cinema e in televisione; ancora attraverso i tanti musei e mostre fotografiche e attraverso documentari necessariamente e giustamente macabri. Perché solo l’orrore non si dimentica.
Se vivessimo in un Paese normale nessuno, e dico nessuno di voi, avrebbe bisogno, oggi, in luogo di una latitante “autocoscienza storica”, di dover approfondire privatamente e per scelta personale lo studio di un periodo storico per poter venire a conoscenza del fatto che noi, gli Italiani, abbiamo subito un genocidio; una pulizia etnica: diciassettemila esseri umani Italiani sono stati assassinati “in serie” per il solo motivo di essere Italiani.
Quando venne istituita la “Giornata del ricordo dei martiri delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati” reagii con molta felicità. Complice una destra diventata forza di governo si era riusciti, finalmente, dopo settanta anni, a portare all’onore delle cronache la pagina più orribile della nostra storia. Questa ultima frase, in verità, devo confidarvi di averla scritta a malincuore. Come sempre, tutto, in questo Paese, deve ridursi a qualcosa di destra o sinistra; è una storia infinita e credo che non finirà. L’ho scritta a malincuore perché provo tristezza nel constatare che, nonostante passino gli anni, si faccia fatica a trovare la strada della decenza e della dignità; del rispetto per i martoriati e uccisi. Questo dovrebbe essere il messaggio educativo legato al ricordo, da diffondere nelle scuole e nella società. Ma siccome siamo in Italia, se uno sterminio lo hanno fatto i comunisti va giustificato, cancellato, dimenticato, omesso dai testi di scuola. Se la cosa riguarda, addirittura, i sacri e intoccabili partigiani, allora neanche a parlarne. Il problema, in realtà, non riguarda soltanto noi. La problematica che vede l’oblio protagonista dello sterminio di decine milioni di uomini riguarda tutto il mondo. Un oblio reso possibile da tantissimi fattori. Mi riprometto di scrivere un pezzo più ampio e generale sul tema, magari in occasione della “Giornata mondiale del ricordo delle vittime del comunismo”; una giornata che nessuno di voi conosce e che è “circoscritta” da un silenzio mediatico tombale. Tornando alle Foibe, piccolo tassello nell’arcipelago del terrore che ha visto protagonista la “causa rossa”, cosa c’è da dire, da raccontare? Come si è riusciti a parlarne e quando la prima volta?
Nel 1991, nel pieno di una delle numerose guerre protagoniste in quelle zone, l’armata serba – bloccata in Slovenia – aveva necessità di rientrare in Serbia. Per questo le ipotesi erano due: proseguire via terra in mezzo ai territori nemici della Croazia oppure risalire fino a Trieste ed imbarcarsi per poter raggiungere, più a sud, coste amiche; e quindi, appunto, la Serbia. Non essendo l’Italia un Paese normale, l’esercito serbo prese contatti con il governo che favorì il piano. Una cosa grottesca. In pratica, è come se ad un moderno Stato neonazista gli ebrei facessero usare una propria cittadina come appoggio per aiutarlo. Tutto era pronto, ma di traverso si mise qualcosa di più forte. L’odore del sangue ancora caldo, ancora vivo. Infatti, in seguito alla dichiarazione di disponibilità di Cossiga, Trieste “esplose”: il quotidiano “il Piccolo”, che aveva dato notizia, venne inondato di centinaia di telefonate. Vedove e orfani degli uccisi o soltanto cittadini consapevoli e conoscitori della propria storia urlarono il loro sdegno. Ripensando alle registrazioni di quelle telefonate, ascoltate in un documentario, non vi nascondo che ho qualche brivido e un po’ di commozione. Perché quella era la voce di chi diceva: “ci avete eliminato dai libri di storia, nessun Italiano ricorda la nostra tragedia, siamo soli con i nostri ricordi, siamo stati zitti per 50 anni e adesso dobbiamo pure aiutare i nostri carnefici? Basta! Basta!!! Vergogna! Vergogna!!!”. Si occupò della vicenda la stampa nazionale e, ovviamente, i più potevano capire nulla o quasi dato il livello di istruzione garantitoci, prossimo allo zero. Solo loro potevano sapere. Solo chi, di famiglia in famiglia, di padre in figlio, si era tramandato memoria poteva sapere cosa era accaduto.
Nella fase finale del secondo conflitto mondiale sapete tutti che in Italia si creò una spaccatura. Nel nostro Paese, infatti, si aprirono due strade. Proseguire, nonostante le situazione di difficoltà, nella difesa di Mussolini e del Fascismo, oppure schierarsi con chi aveva organizzato un fronte interno: quello composto dalle brigate partigiane e che, in un disegno più ampio, doveva avere il ruolo di appoggio all’invasione degli eserciti stranieri che, da sud verso nord, avrebbero risalito l’Italia per prendere possesso del territorio. In realtà occorre sottolineare che il grande fronte partigiano era composto da tantissime “anime” politiche. Vi erano i comunisti, ma vi erano anche tutti gli altri. A differenza di quanto fatto credere a tutti noi, da sempre, l’obbiettivo dei comunisti non era affatto quello di restituire la democrazia all’Italia; bensì quello di fare invadere il nostro Paese dall’esercito sovietico per poter instaurare la dittatura del proletariato. Giampaolo Pansa, giornalista e scrittore di storia antifascista, cacciato dal quotidiano Repubblica dopo venticinque anni, minacciato di morte e aggredito numerose volte per avere voluto dire basta alla storia “scritta solo dai vincitori”, ha intitolato uno dei suoi libri “La grande Bugia”. La Grande Bugia è, appunto, tutta quella serie di bugie e omissioni che hanno composto quella che oggi, giornalisticamente, ha preso il nome di “vulgata resistenziale”: la favoletta data in pasto alla gente e che viene ogni anno celebrata il 25 aprile. In realtà, appunto, le cose non andarono così. Questo è ormai dimostrato, oltre che da tantissimi documenti provenienti dagli archivi del KGB, anche da numerosi studi e testimonianze. Nelle regioni a più grande influenza “rossa” iniziarono torture, omicidi di massa, stupri, saccheggi. Questo in tutto il nord; ma passò alla storia la zona compresa tra i paesi di Manzolino, Castelfranco Emilia e Piumazzo. Un triangolo che, per il sangue, prese il nome di “triangolo rosso”. “Triangolo rosso nessun rimorso” affermano ancora oggi i “gendarmi della memoria”. A chi dice che i partigiani assassinavano i fascisti e che quindi ciò ricadeva nel normale svolgimento di una guerra civile, dico che la cosa non è esatta. Sparare in testa ad un bambino perché figlio di un uomo che era stato iscritto al Fascio – come tutti perché era obbligatorio – non significa ammazzare un fascista. Inserire una bomba a mano dentro la vagina di una donna moglie di un uomo che era iscritto al fascio, non significa ammazzare un fascista. Le stragi e le violenze di cui furono protagonisti i partigiani, spesso, avvennero anche dopo anni dalla morte di Mussolini. La realtà è che in Italia era iniziata una azione rivoluzionaria e sanguinaria marxista leninista che doveva preparare il terreno per la presa del potere; azione che, con gli avvenimenti politici successivi e sfavorevoli al PCI, venne poi arrestata. Il simbolo della verità su quegli anni è certamente la strage di Porzus. In questa, infatti, i partigiani comunisti italiani ammazzarono a martellate in testa i componenti della brigata Osoppo. Si, avete capito bene. Ammazzarono altri partigiani, che stavano facendo anche loro la guerra di liberazione. Tra gli altri Francesco De Gregori, zio del cantautore, e Guido Pasolini, fratello di Pierpaolo, che in un primo momento era riuscito a salvarsi dall’imboscata. Li ammazzarono perché non erano comunisti e non intendevano avallare l’invasione da est dell’Italia.
In questo quadro, e torniamo ai protagonisti di questo articolo, la parte più triste di quel periodo toccò agli Italiani che vivevano nelle zone oltre il confine. Proprio quel confine; quello con il “paradiso socialista”. Non appena le milizie di Tito occuparono quei territori, torturarono e massacrarono la popolazione con l’appoggio e la connivenza dei partigiani comunisti e della dirigenza del PCI italiano. Togliatti, come Longo, aveva studiato a Mosca ed era uno dei più importanti dirigenti del Comitern. Migliaia di uomini, donne, anziani, bambini, preti, soldati, operai e studenti seviziati nelle strade, nelle case, nelle chiese, nelle scuole. Le donne stuprate e torturate con tenaglie arroventate. Un rastrellamento, esattamente come altri più famosi. Tutti, poi, finirono nelle foibe. Le foibe sono cavità profonde con ingresso a strapiombo, come un pozzo, dovute alla natura carsica di quelle zone. I prigionieri, dopo essere stati torturati, affamati e sfiniti, venivano legati l’uno all’altro con del fil di ferro. Ci si incamminava nella notte e una volta sull’orlo avveniva la cosa peggiore. Per risparmiare pallottole ne veniva sparata soltanto una, al primo, che cadeva dentro. Gli altri, vivi, cadevano di seguito trascinati, essendo legati dal fil di ferro. Un volo di cinquanta, settanta, cento metri. Chi moriva sul colpo, chi affogato nelle pozze sul fondo, chi – rimasto in vita – di fame; dopo giorni di agonia in mezzo a decine di cadaveri.
La tragedia non riguardò soltanto gli uccisi ma anche i sopravvissuti. Questi dovettero abbandonare le proprie case, le proprie terre e i ricordi. E scappare! Trecentocinquantamila esuli si diressero in Italia. Quella Italia, loro Patria, che li trattò come figli minori. Per dieci o quindici anni questi trovarono posto in campi profughi e, successivamente, in comunità che si crearono in diverse zone del Paese. A queste atroci sofferenze si aggiunse la violenza del silenzio degli storici, sempre attenti ai loro incarichi nel mondo della cultura e dell’istruzione; mai al racconto della verità! Vergognosi protagonisti di una metodica attività “contro-storica” di omissione dei fatti avvenuti, che ci ha consegnato, oggi, la consapevolezza di essere un popolo che ha solo da vergognarsi di se stesso. Decine, centinaia di popolazioni nel corso della storia sono state vittime di persecuzioni. Molte di queste, quasi tutte, non vedono la ribalta internazionale della propria tragica storia, certo; ma nel loro piccolo commemorano, pregano, si raccolgono e ricordano. Studiano… studiano! Nessuna di queste ha mai visto “crescere una pancia” che, lentamente e inesorabilmente, ha visto nascere e consolidarsi il silenzio, l’autocensura. Solo in un Paese malato di ideologia politica e ignoranza come il nostro si potevano vedere libri di scuola con totale omissione del racconto del nostro genocidio. Un Paese che ha visto, addirittura, il proprio Presidente delle Repubblica recarsi ai funerali del boia che aveva sterminato gli Italiani, il maresciallo Tito, e baciarne la bara: Sandro Pertini. Adorato e ricordato per una foto allo stadio…
Vi confido che mentre scrivo mi sono lasciato trasportare emotivamente. Saranno le centinaia di testimonianze lette che mi risuonano nella mente senza darmi pace. Provo un profondo senso di vergogna come se anche io fossi colpevole di questo silenzio, di questa ignoranza, di questa paradossale storia. Sono un Italiano e in quanto tale mi devo vergognare. Dobbiamo vergognarci tutti. L’Italia deve chiedere scusa a questi figli dimenticati. L’espiazione della sua colpa passa necessariamente dall’uso della memoria allo scopo di raccontare, senza paure e limiti imposti da alcuno, quella verità per decenni negata e riposta sotto il tappeto.