Diverse, lo ammetto, sono le immagini a cui sono legato, in ambito archeologico, per lo stupore che suscitano. Per chi vive nella terra del mito e della leggenda; per chi è immerso nell’energia e nella luce della terra di Trapani; per chi è abituato a vivere nei luoghi che già furono nell’Eneide; per tutti noi stupore e magnificenza accompagnano la quotidianità, e non la straordinarietà. Di una vita fatta di bagni estivi sotto i templi di Selinunte; come fosse normale! Tramonti davanti Mothia; come fosse normale! Passeggiate poco fuori la porta di casa alle Grotte dell’Uzzo e del Genovese. Serate segestane guardando spettacoli sotto le stelle; come fosse normale! Ma oggi voglio raccontarvi una storia, che è la storia delle storie. Nessuna, come essa è affascinante, piena e avvolgente. Una storia in cui tutti si riconoscono, sognano, si immedesimano; grandi o piccini, persone sensibili e non verso la storia e la cultura. Essa, la pesca del tonno in Sicilia, voglio raccontarvela non come un libro di storia può far meglio. Voglio farlo mostrandovi l’unico reperto archeologico, e ne ho visti tanti in tutto il mondo, davanti al quale potrei rimanere giorni, ipnotizzato, a guardarlo. Quando il Barone di Mandralisca trovò a Lipari il cratere siceliota detto poi “Venditore di tonno”, non avrebbe mai pensato a quelle emozioni che poteva suscitare, nei decenni, in tanti di noi; certo in me, che lo guardo commosso trattenendo a stento emozioni ritenibili eccessive. Ma per me è magnificenza assoluta, è magia, è sogno. Non è un semplice reperto. Lo stupore immenso – si domanderà qualcuno – non può essere questo. Davanti ai templi di Segesta e Selinunte, a Mothia, al Satiro, come può una ragazzo appassionato emozionarsi davanti un così banale vaso a tal punto da dimenticare tutto il resto? “Nulla capisce di archeologia” – ed è vero – dirà il professore competente. Ma c’è qualcosa di diverso, che non è la competenza a poter indirizzare: sono le emozioni. In quella giornata eoliana di tanti anni fa – lo dico chiaramente – secondo me venne portata alla luce la vita degli uomini che è, qui, rappresentata. Tutta! Non è un vaso che riguarda il tonno: lo è solo in apparenza. E’ un reperto totale, che racconta l’esistenza, immutata, che arriva sino a noi come testimonianza fedele non del ieri, ma dell’oggi e del domani. La scenetta comica racconta quotidianità. Il soldo, con cui acquistare quel pezzo prelibato forse perchè domenica. E portarlo in famiglia, per un pranzo speciale. C’è quel papà che ha promesso un pranzo diverso, c’è la mamma che aspetta per cucinarlo. C’è il venditore, così buffo, che racconta la storia di chi si alza presto al mattino, ancor oggi, e apre la sua bottega. E col suo saper fare incanta gli aquirenti, forse “bannia” per attirarli. E poi si esprime, con quel coltellaccio, in quei tagli che solo lui sa fare. Solo lui e non il venditore nella bottega di fianco. E se osservate bene, vedrete il compratore trattare sul prezzo, chiedere il pezzo migliore, con il fare di chi conosce le trattative; come oggi noi facciamo con i nostri amici, portandoli nei mercati e dicendo loro di fare acquistare a noi le cose; noi che col venditore sappiamo parlarci! Io mi commuovo. Ecco che un reperto così insignificante, ma così straordinario nella sua completezza, entra nel mio cuore una sera di qualche anno fa. Durante una passeggiata palermitana di domenica mattina presto, come mia abitudine mentre la città dormiva, comprai in una bancarella di via Libertà il famoso tomo sulla pesca del tonno di Vincenzo Consolo. Tornato dopo poche ore nella mia solitudine di fronte al mare, nella mia casa vicino la tonnara di Scopello, non cenai nemmeno, ero troppo impaziente di leggere. E aprendo mi trovai davanti la foto di questo vaso e lo scritto di apertura. E lo lessi. E piansi. Dice bene l’autore; che questa è una storia che parla di uomini, di sangue, di morte. Che risale nel tempo fino a quei dipinti preistorici sulle volte della grotta di Levanzo. La speranza di pescare, del sostentamento, che dopo secoli lascia il passo alla certezza del sangue, della fatica, della lotta tra l’uomo e il mare. Un reperto che racconta millenni e che ci porta in ogni angolo del mediterraneo ma che, allo stesso tempo, ci porta nella vita di ognuno di noi, nelle nostre giornatre, i nostri ritmi, le nostre abitudini e azioni quotidiane. Quella scenetta così buffa, sembra volerci dire che nulla è cambiato, che tutto è come allora, ogni giorno; sebbene tutti noi non facciamo altro che dire il contrario, pensando ai tempi che non ci sono più, alle cose perdute, al romantico ricordo di cose passate. Nulla cambia, invece, nei profondi riferimenti dell’uomo, nei sentimenti, nelle azioni. Nella vita, nella morte, nell’amore: nulla cambia! Nella fatica degli uomini che, oggi come allora, non possono vivere senza credere, sperare e amare. Sentimenti che non mutano col tempo, eterni: che ci commuovono! Perchè accompagnano gesti umili, quotidiani, che ci commuovono anch’essi. Ed anch’essi restano immutati, ancor oggi e sempre, nelle umane vicende dell’esistenza terrena di ogni vita, vissuta in ogni epoca, in ogni mediterranea cultura, in ogni umana civiltà!
Condividi