E’ finita come doveva finire: assolto! E’ finita come doveva iniziare, a esser sinceri ed onesti. Si, perché se è vero che, come fanno molti addetti ai lavori, la parola fine da parte della Corte di Cassazione sul processo Ruby può portare a mille valutazione di carattere squisitamente tecnico, è altrettanto vero che queste, roba per avvocati, non interessano noi. No, noi non siamo giuristi, non siamo uomini di legge; a noi è stato insegnato che se una cosa costituisce o meno reato ce ne deve fregare poco. Proprio per questo, francamente, quello che scrivo qui va un tantino oltre il processo Ruby; di cui me ne fotto! Io voglio parlare di altro; di un Paese, appunto, dove se una cosa costituisce o meno reato non importa a nessuno. Un Paese barbaro e incivile, dalla cultura medioevale, dove l’avviso di garanzia, l’intercettazione, il rinvio a giudizio sono elementi sufficienti per una condanna che proviene da un impianto culturale di un “sistema Paese” basato su cani che addentano altri cani, su banditi che assaltano la diligenza, su fazioni che assaltano a pistolettate la fazione opposta. E quindi no, per carità, a noi cittadini di entrare nel merito non interessa, non deve interessare, non può interessare. Il giudizio è inappellabile e il puttaniere non può scapparne. O anche quello, quello che faceva il presentatore, come si chiamava? Ah, Enzo Tortora! Anche lui non poteva scapparne. Ve li ricordate, i cani di sopra a sbranarlo? Nessuno mi accusi, per carità, di paragonare le due vicende. Non lo sto facendo ma voglio dire che nessuno, qualsiasi caso si possa citare e ricordare, può scapparne, dal giudizio; perché la prigione è quella morale; che è stata creata ad arte da chi ha ridotto questa nazione a un Colosseo dove i leoni vengono scagliati per far male. Un Paese dove, dicevo, la giustizia non è più giustizia anche se, poi, dopo anni ti assolve: perché se dopo anni sei assolto ma ormai hai perso tutto, sei stato distrutto, sei stato abbandonato dagli affetti, hai avuto danni irreparabili verrà scritto, sui giornali, che sei stato assolto ma non sarai assolto manco per niente. Che non c’era reato in quello che hai fatto e che, forse, qualcuno, forse, lasciamo il beneficio del dubbio, aveva altri scopi oltre a perseguire giustizia. E il sospetto viene da come le notizie di reato nascono; perché ti accorgi che, diamine, invece che precedere le indagini sono le indagini a precederle con lo scopo di trovarle, infine, queste notizie di reato. E invito chi legge a sforzarsi di comprendere la gravità della mia ultima frase che rappresenta la fine del diritto, la distruzione di secoli di conquiste del vivere civile provenienti da epoche che furono illuminate; certo più dell’oggi. E ti ritornano in mente, come un film, i cani sopra l’osso, avventatisi per strapparne i brandelli di carne e, finita la carne, rimasti a succhiare quel sangue residuo, quel midollo così succoso fatto di conversazioni private, di emozioni private, di “sonori cazzi propri”. E certo è che, i cani, li hai visti pronti a denunciare la macchina del fango quando questa è avvenuta al contrario, contro di loro. Certo, perché l’osso da succhiare con diritto è solo quello dell’avversario. Che gliela devi fare pagare, una volta per tutte. Che, maledetto, deve soccombere. E con quei brandelli di carne, con quel trofeo che è vita, li hai visti tronfi in televisione portare acqua al proprio mulino. “Zitto tu, che hai votato per il puttaniere”: questo lo spettacolo, prova di una immensa incapacità di confronto sui contenuti. Ma dei contenuti, appunto, a chi interessa? Se l’Italia è ridotta così è perché i politici fanno tutti schifo o perché è stata svuotata dai contenuti? E di chi è la colpa? E in tema di giustizia, di grazia, a chi interessano i contenuti? C’è qualcuno, in tutta sincerità, che si è mai documentato per capire se questo o quel processo avessero, nel merito, ragione di esistere oppure, con un annientamento del pensiero e della possibilità di dirsi degli esseri pensanti, abbiamo solo visto fazioni arroccarsi su posizioni da tifoserie di calcio che, chiedo scusa a chi si sentirà chiamato in causa se faccio questa metafora per indicare degrado intellettuale, senza ragione, senza confronto, senza intelletto, senza libertà, senza visione intellettuale, senza riferimenti morali e legali ha partecipato al coro contro l’avversario? E sia chiaro, la cosa riguarda una parte e l’altra. Nelle mie parole non vi è certo finalità esclusiva per alcuni e inclusiva per altri. Certo è, però, che lo spettacolo è ormai solo questo; certo è, però, che chi si distingue pare un alieno venuto da chissà dove; certo è, però, che questo spettacolo non lo abbiamo creato noi. Una regia importante ha prima scritto la trama di questo film che, messo su pellicola, è stato mandato in onda infinite volte, trascinando un Paese in una guerra civile permanente; provocando dissapori e inimicizie tra amici di sempre che si sono trovati a dover fare la scelta di campo: obbligatoria, conformista, ineludibile! Una scelta di campo a cui ci hanno obbligato, facendo scadere le nostre intelligenze a rango inferiore; infinitamente. Un circo dove, invece degli animali a far spettacolo, abbiamo visto per anni messi in mostra uomini di giustizia, giornalisti, finti intellettuali, attori, registi, cantanti, presentatori, infine noi stessi. Trasmissioni televisive, film, cortometraggi, appuntamenti letterari, festival musicali, libri. Un circo che ha invaso ogni spazio della vita civile affinché non fosse possibile scapparne, tirarsi fuori, rimanere essere pensante, indipendente. Solo un imperativo categorico: “decidi, o lo difendi o lo attacchi; o sei bianco o sei nero; o ti schieri con noi o sei un nostro nemico”. La impossibilità di argomentare in modo terzo, attaccare sia gli uni che gli altri, cercare di capire, riflettere, andare oltre. Che se vuoi attaccarlo ma fare dei distinguo, che le ragioni e i torti non sono tutti da una parte, non puoi; allora ti incasellano loro. Decidono loro da che parte stai! Una barbarie medioevale degna dell’inferno perché è questo che la casa Italia è diventata: un inferno. Ma c’è un portone, all’ingresso di questa casa; e, sopra, una grande scritta: “Circo mediatico-giudiziario”. Ma il portone è chiuso. Qualche amico già dentro potrà invitarvi, è vero; ma sarete solo voi a decidere se bussare e chiedere di entrare o, letto il cartello, rifiutarvi e conservare la vostra integrità morale ed intellettuale; la vostra libertà di pensiero e, con essa, la vostra dignità.
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