In questi giorni mi è tornato in mente, succede spesso, un vecchio articolo di Giampaolo Pansa. Credo che, in quel momento, l’indimenticabile Bestiario andasse in stampa sul Riformista di Antonio Polito. Foglio che avrebbe meritato più fortuna se un pubblico maturo avesse capito quanto le case di carta del progresso al servizio dei potentati, avrebbero meritato di scontrarsi e perdere contro chi sapeva essere di parte ma non fazioso. Ma, si sa, agli italiani piace tifare, come per il calcio. Mi trovano in aeroporto per recarmi a Roma, dove gli scontri di piazza contro il governo Berlusconi la facevano da padrone per le riforme osteggiate dalla sinistra extraparlamentare, mandata avanti da quella politica. “Stiamo attenti, tornano i ’70” era l’inquietante titolo di un pezzo fuori dal comune dove il giornalista non le mandava a dire denunciando qualcosa di grave in quanto anacronistico. E cioè che l’Università Sapienza era un covo dove venivano logisticamente aiutate le squadre di bravi ragazzi che dovevano operare in piazza. Se, come dimostra Bologna, anche altri atenei si sono distinti per certi ambienti a farla da padrone, quella dell’ateneo romano è una storia balzata agli onori delle cronache, come per l’inaccettabile veto con cui si è impedito al Papa di entrarvi.
Poche ore fa, ovviamente a Lettere, una occupazione in solidarietà dell’anarchico Cospito è stata accompagnata da manifesti di proscrizione, appesi ai muri, con i volti del Capo dello Stato Matterella, della Meloni e non solo. Definiti assassini, si è come posto un obbiettivo, dando pubblicità di chi deve essere colpito.
Che alcuni imbecilli ventenni possano, fuori tempo e per dare un senso a una vita vuota, rendersi protagonisti di certe azioni come le minacce alle cariche più alte dello Stato, è una cosa molto meno grave di quanto molti stiano dicendo. Ciò che va sottolineato, di grave, è altro. E cioè chi, dalla propria posizione, dovrebbe tenere una linea trasversale di garanzia ed invece, come da sempre, gioca a provocare le parti extraparlamentari della propria parrocchia. La solita, che non cambia, sinistra italiana.
Non vi è dubbio che i parlamentari abbiano diritto a visitare i detenuti, ma non vi è dubbio che queste scuse e frasi fatte servano a coprire una realtà, che può emergere se tutti noi ci ponessimo una semplice domanda. Ma se Cospito ha pattuito con i mafiosi in carcere di fare lo sciopero della fame per riuscire a scardinare, dopo la prima eccezione se avvenisse, il regime carcerario duro; ma se siamo davanti a un quadro criminale del genere, di mostruosa gravità, come può la sinistra, attraverso suoi parlamentari, fare visita al detenuto? E, soprattutto, se lo fa, con quale scopo?
È semplice. Per chi mastica di certe dinamiche da una vita, non è difficilissimo capire che questa azione aveva uno scopo. E cioè scatenare ciò che è accaduto alla Sapienza. Che non è un caso. Ovviamente malcelandolo, facendo finta che le cose non siano collegate, ma è cosa che può essere data a bere a chi non sa che un braccio, i ragazzi amanti della rivoluzione, è sempre e da sempre legato a un corpo.
Corsi e ricorsi storici ci portano indietro a stagioni che potevamo dire concluse e che, per magia, si riaprono dando respiro a chi ha bisogno di ciò per essere, in quanto anti, antiqualcosa e dicono loro, ancor oggi, antifascisti. In assenza di fascismo, ormai morto e sepolto, ma con la scusa che una ragazza che viene dal Fronte della Gioventù sia diventata Premier. Quale migliore occasione per poter, ancora una volta, riorganizzarsi per non ammettere di essere privi azione politica attiva e protagonisti solo di azione antagonista?
C’è però un grosso problema, che è un problema di noi tutti, cittadini di destra o sinistra, e cioè che certi dolori e violenze che il nostro Paese ha vissuto, si sa, dovremmo con saggezza tenerli lontani invece che soffiare sul fuoco, oggi cantando Bella Ciao a sproposito, domani facendo visita a un criminale che prende accordi con la mafia per sincerarsi delle sue condizioni di salute.
Eppure questo è. E questo bisogna sottolineare, infondo, per registrare come un popolo smemorato non rimproveri abbastanza i protagonisti di tutto questo, intellettuali e politici, che invece di memoria ne hanno eccome e sanno, come sapeva Giampaolo Pansa, che gli anni 70 nacquero per caso, bastò un casus belli sulle scalinate dell’ateneo romano. E potrebbe accadere ancora.
Mi torna in mente, come fosse ieri e lo avessi vissuto, l’anarchico Pinelli. Storia di grande fascino e mistero, quella della Ballata dell’anarchico è in musica la rappresentazione di una calda sera milanese di cui la polizia e le Istituzioni non possono andare fiere. Si sbagliò. Ma di più sbagliò la sinistra e quel suo mondo fatto di intellettuali e frange estreme per le strade.
Una campagna d’odio forsennata ed eccessiva portò all’omicidio del commissario Luigi Calabresi.
Mentre canticchio la Ballata dell’ anarchico Pinelli e mentre riguardo i manifesti apparsi alla Sapienza mi è tornato in mente che a premere il grilletto non fu certo soltanto l’assassino, ma quella sinistra che getta benzina sul fuoco, perché come da sua natura non sa fare altro, decennio dopo decennio, come se la storia nulla abbia insegnato. Che viene il dubbio che invece, quella storia, non sia per alcuni vergogna ma motivo di nostalgie e mai sopite voglie di cui ancor oggi i cittadini italiani e le Istituzioni restano ostaggio.