“Si uccidevano nella bellezza assoluta della montagna, nella vertigine delle Dolomiti, sui deserti degli altipiani e nel gelo dei ghiacciai. Combattevano per dei pezzi di roccia così impervi che talvolta le valanghe si portavano via i vincitori. Era la guerra più assurda, nei posti più incantati”.
Con la lettura di questa parole, tratte dal libro “Il fuoco e il gelo” di Enrico Camanni, si è aperta la conferenza sulla prima guerra mondiale tenutasi venerdì presso il circolo comunitario Nautilus di Palermo, con l’organizzazione di CasaPound, la moderazione di Luigi Benedetti (chi scrive) e gli interventi dello stesso moderatore, del professore Tommaso Romano, di Giovanna Ferrara e di Francesco Vozza. Un incontro culturale nato da due volontà che, su binari differenti, vedono unirsi percorsi di crescita di valori e di partecipazione. Da un lato la presentazione del progetto “Italiani in trincea”, che ha come scopo la commemorazione e il ricordo della grande guerra nell’occasione del centenario, attraverso mostre, conferenze e iniziative concrete finalizzate alla raccolta fondi per la ristrutturazione di monumenti ai caduti o sacrari militari; dall’altro la spinta d’animo di chi pensa che il senso di comunità sia figlio solo di processi di aggregazione che non possono prescindere dalla cultura, dalla consapevolezza storica che è quindi cemento fondamentale di quella autocoscienza spesso latitante che condiziona in modo negativo la qualità della democrazia Italiana.
Proprio su questo punto, ad apertura dei lavori, l’intervento di Luigi Benedetti ha posto sul tavolo questioni relative ai processi sociologici e storici che, claudicanti di autentico spirito comunitario e identitario, dopo decenni di gestazione hanno portato a evidenti carenze culturali, nel popolo italiano, tali da rendere l’Italia Nazione ma non Patria; disamine lunghe, che partono da lontano, e certo dal peccato originale della nascita di quella Italia repubblicana che ha visto tra i suoi costituenti forze antinazionali e antipatriottiche che hanno operato nel mondo della cultura e a livello legislativo assimilando alla cultura fascista, è grottesco, i sentimenti di comunità e Patria che in ogni Paese del mondo, invece, sono protagonisti trasversali, come è giusto che sia, e animano lo spirito di appartenenza nazionale senza che questo veda divisioni per motivi politici e culturali. Problematiche che hanno condizionato profondamente l’animo di tante generazioni e hanno provocato un’ analisi dell’esistente che vede una Italia vulnerabile, macchietta, sotto scacco di tavoli internazionali che conquistano senza bombe un popolo che, non avendo riferimenti identitari e comunitari, non sa difendersi. Di più: oltre a non sapersi difendere, il popolo italiano vede nascere conflitti interni, come l’indipendentismo, basati su rancori storici come quello, ed è il secondo punto trattato da Benedetti, della questione meridionale. Il pensiero è breve, conciso, legato alla riflessione sulle verità che l’Unità d’Italia nasconde che, però, non vanno poste sul tavolo al fine di distruggere ancor di più sentimenti nazionali e di amor di Patria, ma allo scopo di operare a livello culturale e legislativo affinché si risolva la “questione”. Il motivo è chiaro: nel bene e nel male quella Patria è nata, ed è la nostra Patria. Remare contro, oggi, ha il solo risultato di danneggiare, come già detto, la capacità del popolo italiano di essere unito e sapersi difendere; ed in più quello di vanificare il sacrificio di quei ragazzi del sud che non avevano mai visto la neve, che non sapevano neanche cosa fossero le alpi o dove fosse Trento ma che, dopo una vita al sole di Trapani o Siracusa, si ritrovarono nel gelo e nel fuoco, in mezzo a ghiacciai e altipiani, a combattere e morire, spesso congelati, per la Patria Italiana.
Entusiasmante, per un pubblico attento e partecipe, è stata la disamina del professore Tommaso Romano, docente di filosofia, che ha dato testimonianza di analisi storico-politica di altissimo livello. Non una semplice cronologia degli eventi, quindi; non un inutile ripetersi di narrazioni storiche protagoniste di tanti incontri sul tema: un intervento dove al centro si è posta una interessantissima spiegazione dei processi risorgimentali che, secondo il professore, vedono proprio nella prima guerra mondiale una protagonista assoluta, al termine di un percorso politico, culturale, con gestazioni lunghe e piene di fatti e aneddoti che videro l’interventismo superare il neutralismo, in un Paese dove crebbe una pancia di sentimenti e volontà belligeranti non per mero spirito di guerra ma come risultato ultimo di un processo di costituzione della Nazione che, con quel conflitto, diventò appunto Patria di un popolo unito. Nella lunga disamina del professore si sono alternati momenti di narrazione degli eventi con altri di testimonianza culturale, improntati all’analisi non solo dei fatti del conflitto, ma anche al racconto delle condizioni sociali e culturali che sono madri di quella battaglia. Marinetti, D’annunzio, Diaz e Vittorio Emanuele III, sono alcuni dei personaggi di cui Romano ha parlato, disegnando un quadro chiaro anche per chi quella storia, per mancanza di studi personali o lacune, non la conosceva. Una storia che appartiene a tutti noi; una storia spesso dimenticata, poco celebrata, da un Paese culturalmente malato che non festeggia la vittoria del primo conflitto mondiale, ma la sconfitta del secondo.
Un incontro, quindi, che ha visto sentimenti di speranza e cambiamento. Fare cultura, a trecentosessanta gradi, per invertire la tendenza; e così diventare Patria e popolo unito protagonista di se stesso nel mondo.