di Carlo Spataro
L’iniziativa del Fertility Day, proposta dal Ministero della Salute, ha sollevato un vespaio di critiche, molte delle quali ben argomentate, a mio avviso. L’Autorità pubblica appare, in questo caso, come quei genitori che non si curano dei propri figli per anni (per restare in tema) e che poi, improvvisamente, decidono di intromettersi nella loro vita per stabilire cosa debbano fare.
Sulle ragioni che spingono sempre più italiani a non avere figli o ad averne il più tardi possibile, o sulle cause che gli impediscono di averne, molto è già stato detto e sicuramente si dirà. In questa sede mi preme portare all’attenzione dei lettori un fenomeno, a mio avviso collegato al tema, poco evidente agli occhi dell’opinione pubblica: la crescita delle famiglie italiane residenti all’estero.
Parliamo di nuclei formati sia da italiani di prima che di seconda generazione, che costituiscono prova a sostegno di due tesi: il popolo italiano non si sta estinguendo e il flusso di emigrazione, nel corso di mezzo secolo, non ha subìto arresti o rallentamenti. E sia chiaro, in molti casi non si tratta di gente che vuole abitare all’estero, ma che non vuole o (molto spesso) non riesce più a vivere in Italia.
I risvolti sono preoccupanti: gli italiani di seconda generazione e i figli di quelli di prima tendono a conoscere a malapena, se non addirittura ad ignorare, la lingua italiana. Il sentimento di appartenenza nazionale subisce la concorrenza del più forte ed immediato legame regionale: più facile trovare all’estero comunità siciliane o venete che italiane; in alternativa, i raggruppamenti di emigranti italiani ruotano intorno a comuni denominatori di natura politica, culturale e sociale, riprendendo la nostra storica vocazione corporativistica.
Anche la partecipazione alla vita politica del Paese non rivela un quadro positivo: non è difficile trovare italiani residenti all’estero che, nel 2016, siano incerti se Mario Monti sia ancora al governo oppure no; e questo nonostante molti cerchino di tenersi aggiornati. Si dirà che i moderni mezzi di comunicazione dovrebbero facilitare i rapporti, ma non è sempre così: l’accesso ai social network non è sempre agevole, a causa di gap generazionali e impossibilità materiali; ancora oggi ci sono italiani all’estero che, prima di trovare i soldi per pagare una linea telefonica e internet, devono trovare i soldi per assicurarsi un tetto sulla testa e il cibo nel piatto.
Non si vuole stroncare l’iniziativa del Fertility Day, ma sicuramente suggerire di metterla un momento da parte: prima di mettere in batteria gli italiani rimasti entro i confini nazionali, sarebbe opportuno riprendere i contatti con i tanti italiani dispersi nel mondo. Sono sicuro che gli farebbe piacere sentire il proprio paese.
P.S.: è interessante notare come si sia passati dal “Family Day” al “Fertility Day”.