Fino a un paio di lustri fa, al netto di consapevolezze circa questa o quella compagine con al seguito la propria macchina di consenso, tutti noi eravamo abituati, più o meno, a dare per scontate le notizie che provenivano dai media. Il dovere del giornalista è quello di scrivere la verità sostanziale dei fatti e se con sfumature e differenze di vedute questi potevano essere visti da angolature diverse, vi era però una linea generale nell’informazione che non alterava la verità sostanziale nella sua interezza. Poi, in pochi anni, molti hanno compreso che era successo qualcosa di molto profondo e grave; soprattutto chi, per competenze e vicinanza a questo mondo, percepisce immediatamente i cambiamenti; capisce che qualcosa non va.
L’assorbimento praticamente totale del controllo della narrazione, è avvenuto non casualmente alle porte della pandemia da Covid 19, momento in cui si è messa in opera tutta quella ramificazione di strutture da propaganda di guerra per impedire alcun dissenso. Negli anni precedenti chi, come me, “sente” sulla pelle le svolte, iniziarono a manifestarsi nuovi personaggi nel cosiddetto mondo dell’informazione, che erano stati creati con annessa operazione mediatica fatta di retorica sulla necessità della loro azione per salvare la democrazia. Erano i cosiddetti fact checker, i profeti della verità, il cui operato venne da me subito messo sotto osservazione. Con alcuni ebbi anche degli scontri dimostrando il loro modo di operare. In pratica, con l’avvento dell’informazione sui social e della libertà di movimento della informazione tra le persone, questi soggetti vennero istruiti a definire false le notizie vere ma scomode, attraverso distinguo e tecniche fantasiose. Il tutto era accompagnato dalla famosa e non nuova tecnica di proscrizione del “complottismo”. Marcello Foa, già Presidente Rai, spiegò in una conferenza il suo utilizzo e la sua genesi, avvenuta per tenere sotto controllo le notizie sull’omicidio Kennedy.
In pratica si mette in piedi una violentissima campagna mediatica in cui chiunque tenti di dire qualcosa di scomodo viene deriso pubblicamente e additato come complottista, facendo parallelismi con chi pensa che la terra sia piatta o altre amenità, in modo tale che l’effetto sia quello di intimorire le persone e costringerle al silenzio pena la pubblica derisione, la perdita di credibilità, la possibilità di avere problemi nel lavoro e nei propri rapporti umani. Tutto questo, ovviamente, mentre i camerieri detti fact checker che si definiscono giornalisti, fanno il lavoro di prendere la notizia di turno e produrre articoli sul fatto che questa sia una bufala.
Dopo qualche anno di “prove generali” su disparati temi, ricordo come fosse ieri il cambio di passo. Open, di Enrico Mentana, un giornale nato apposta con la missione di avere fact checker come collaboratori, firmava con Fb un accordo per il controllo e la veridicità della notizie che venivano diffuse dai vari profili. Come il mio, che venne bloccato per 8 mesi perché scrissi che il virus non era di origine naturale ma creato in laboratorio.
In quel momento capii definitivamente quello che era stato fatto, e cioè era stata messa in piedi una macchina a livello mondiale, per impedire il dissenso, quindi minando la democrazia e la libertà nonché la funzione del giornalismo che poi fu funzionale alla narrazione pandemica e sui finti vaccini per accompagnare la coercizione e la minaccia della popolazione. E come venni definito in quei momenti? Un complottista, quindi uno scemo del villaggio, un cretinetto. L’effetto sulle persone comuni è questo. Per esempio, mio padre, ed anche un amico di famiglia medico di professione, mi dissero: ma credi veramente possibile che se tutti dicono una cosa sia falsa perché ci sarebbe una regia mondiale dietro? Era esattamente così, ma lo avremmo scoperto qualche anno dopo.
Pochi giorni fa, con il mio editore, abbiamo ospitato a Trapani Nicola Porro. Al termine della conferenza ho posto una domanda al riguardo del controllo dei media a livello mondiale, e lui tra le altre cose ha detto: “effettivamente quando ho scoperto che Il Presidente degli Stati Uniti aveva pianificato col padrone di FB di censurare i profili e i contenuti sul covid, mi sono preoccupato”.
Lui si è preoccupato, come io invece non mi sono mai preoccupato di chi mi dava del complottista. Tutto il percorso che aveva portato a quella prima azione mediatica a livello mondiale, e cioè impedire che si dicesse che il virus fosse creato in laboratorio, io lo avevo seguito passo passo, dalle prime “commissioni contro le fake news in parlamento” in epoca Boldrini, ai primi corsi di formazione dell’Ordine dei giornalisti. Era tutto chiaro, cristallino, evidente.
Progredendo quindi nella analisi di quanto accaduto nel giornalismo che non può prescindere dalla vicenda pandemia, ci siamo tutti accorti che i media erano completamente asserviti senza se e senza ma palesandosi come funzionali non al fare informazione ma al fare parte di un ingranaggio di potere a livello mondiale. Ma il tutto era stato mostruosamente evidente poco tempo prima e cioè durante la campagna elettorale che avrebbe mandato per la seconda volta Trump alla Casa Bianca. Come era possibile che il Presidente in carica, mentre faceva dichiarazioni alla nazione, aveva visto la CNN staccargli i microfoni? Trump non doveva diventare Presidente al posto di Biden ed è bene che vi racconti un’altra cosa definita “teoria del complotto” poi diventata verità. Bisognava fare la pandemia, che celava il progetto del Grande Reset di Klaus Schwab, e Trump si era messo di traverso. Senza fine, su tutti i giornali e tutte le tv, tutti i politici dichiaravano “abituatevi alla nuova normalità, nulla sarà come prima”. La nuova normalità era vivere con il green pass, introdotto con la pandemia.
Mentre Trump era Presidente, ebbe contrasti con Bill Gates, Fauci e l’OMS, levò i fondi per il guadagno di funzione, e il virus che era stato creato in un laboratorio del North Carolina (BLS1), venne trasferito in Cina dove venne chiesta ospitalità e dove venne portato avanti il piano. Ma, ovviamente, tutte queste cose non erano certezze; il fatto che a livello mondiale tutta la stampa si fosse scatenata contro Trump per questo motivo era chiara nella mia mente ma non ancora provata.
Diverso tempo dopo, Ilaria Bifarini, pubblicò un libro per denunciare il piano distopico che un manipolo di criminali al potere avevano messo in piedi per cambiare il nostro modo di concepire la vita sulla terra. In questo testo, che si rifaceva alle informazioni riportate sul testo mai tradotto in Italia “The Great Reset” del Presidente del WEF, ospite di Mario Draghi a Roma il giorno della introduzione del green pass, veniva riportata una lettera che prima della pandemia un esponente del mondo cattolico aveva inviato a Donald Trump mentre era ancora Presidente. Era Monsignore Carlo Maria Viganò.
In questa missiva il prelato, palesemente in scontro con Papa Francesco, a conoscenza di tutto quello che è poi accaduto e sponsor del WEF e del nuovo paradigma economico da questa organizzazione ideato chiamato “capitalismo inclusivo” (la disamina su questi anni e su quale fosse il progetto è più lunga di quanto voi crediate e non si limita al mio breve racconto); in questa missiva, dicevo, Viganò pregava Trump di resistere al potere e non perdere le elezioni, perché era a conoscenza di un piano diabolico per instaurare il dominio sul mondo superando i diritti umani, le costituzioni e le leggi, attraverso due pandemie. Una da covid 19, ed una da covid 21. Questa, poi, interrotta dall’azione di Putin che dopo l’inizio del conflitto ha lasciato dichiarare al filosofo Dugin “questa non è solo una guerra per l’Ucraina ma contro il Grande Reset”.
Leggendo quella missiva antecedente la pandemia provai sgomento e terrore. Era descritto tutto quello che poi avremmo vissuto. Il prelato scriveva a Trump che il piano prevedeva l’introduzione di un pass per il controllo delle persone, una campagna vaccinale e confinamento e persecuzione di chi non si sarebbe piegato. Ebbene quando lessi quelle parole non le valutai in modo a se stante, ma le inserii dentro il quadro che ho narrato in apertura del pezzo, incastrando queste informazioni con il percorso di nascita dei fact checker poi funzionali al piano denunciato da Viganò. Tutto era un insieme di cose ordito e pianificato anni prima.
Non stupisce, quindi, quanto avvenuto negli ultimi mesi. Un costante imperterrito lavoro di bugie per dire che vi era in corso un testa a testa, che la Herris era in vantaggio, quando in realtà Trump era visto come la salvezza da tutto quello che abbiamo vissuto ed il popolo, definito ignorante e rozzo che non sa votare, in realtà ha ormai capito benissimo come stanno le cose.
Dalle nostre parti, come stanno le cose, specie sui giornali, lo abbiamo definitivamente capito quando Biden dava di matto e stringeva la mano nel vuoto per problemi di demenza senile, ma essendo ancora il candidato in corsa i fact checker scrivevano articoli per dire che non era vero nulla e che erano teorie del complotto dei sostenitori di Trump. Anche Marco Rizzo, recentemente, ha ironizzato e raccontato di ciò. Perché la verità, in fondo, ormai è giunta chiara a tutti noi. E cioè che questi eroi dell’informazione che controllerebbero le notizie ed hanno il potere di tapparti la bocca, erano in realtà al soldo di un disegno che, come sempre avviene, sul lungo periodo è miseramente crollato, lasciando loro nel ridicolo ma provocando effetti devastanti su tutto il mondo dell’informazione. Le persone comuni, i cittadini, non credono più a nulla di quanto leggono sulle principali testate. Gli unici giornalisti che riescono a creare empatia col pubblico, sono quelli fuori dal coro. Ma sono pochi e in larghe vedute il risultato ultimo di tutto questo percorso è stato la perdita di credibilità di una intera categoria.
In pochi anni il quotidiano La Repubblica ha perso mezzo milione di copie vendute. Si facciano qualche domanda e se non capiscono cosa sia accaduto chiedano pure a me; che ho tutte, ma tutte le risposte!