Sono passati ormai tanti anni da quando Giampaolo Pansa pubblicò per il suo Bestiario un articolo su Gianfranco Fini. Si intitolava “Povero Fini, parli di meno e studi di più”. Erano gli anni in cui l’erede di Almirante e della tradizione della destra italiana iniziò a fare un lavoro quotidiano di dichiarazioni ammiccanti a sinistra, con lo scopo di potersi spendere come Presidente della Repubblica. Sappiamo come è finita, ma giova ricordare come andarono le cose. Fini da Presidente della Camera avviò una stagione di sgambetti ai suoi alleati, era invitato a osannato a sinistra in ogni salotto, e le sue dichiarazioni erano sempre intente a fare dispetti alla propria parte politica. Le provocazioni erano costanti, su Berlusconi, ma le più importanti riguardavano la destra e il fascismo. Sappiamo bene che in Italia ci sono due modi di essere contro il fascismo. Uno è non essere fascisti, l’altro è essere antifascisti. Il primo modo appartiene a tutti i cittadini equilibrati, come a tutti quelli di destra, che sanno quanto il fascismo appartenga a un passato lontanissimo che può essere valutato nei suoi meriti e nei suoi drammi. Il secondo modo è invece una appartenenza ancor oggi di violenza politica, odio e proscrizione per l’avversario e antagonismo prodotti e utilizzati come strumenti in un tempo non più adatto a giustificare certe ossessioni. Tutti i cittadini di destra e tutti quelli equilibrati, per questo motivo, non si riconoscono nel cosiddetto mantra antifascista. La sinistra di ciò ha generato una prigione culturale costituita di frasi fatte, retorica, denunce di dittatura ad ogni occasione e cioè quando non vince le elezioni. Era fascismo Berlusconi, era fascismo Salvini, ora è fascista la Meloni. Insomma una cosa che se non facesse piangere farebbe ridere. A differenza di quanto viene detto, infatti, è solo la destra ad aver fatto i conti col passato mentre a sinistra vivono costantemente e senza saper fare altro come se fossero negli anni 70. Avete mai visto banchetti del PD distrutti da militanti di FDL o Forza Italia? Avete mai visto leader di sinistra con la faccia spaccata da una statuetta tirata da un aggressore? Avete mai visto leader di sinistra a cui viene impedito di fare comizi da parte di elettori di destra e guerriglie di piazza per impedire a un governo di sinistra di fare una riforma, bella o brutta che sia?
Le tematiche riguardanti il fascismo e il suo studio, non hanno mai potuto trovare pace in un Paese fondamentalmente ignorante, dedito alle campagne elettorali permanenti, e dove per motivi lunghi d analizzare non è mai nata la social democrazia. A sinistra mentre in tutta Europa questa prendeva la scena, in Italia estremisti provenienti da Frattocchie e democristiani al soldo del KGB prendevano il potere, fatto fuori Craxi, alla loro maniera. Non dando all’avversario politico pari dignità e perpetrando slogan violenti e fuori tempo.
Dall’altro lato una destra vittima di se stessa e dei propri complessi di inferiorità. Che per decenni è stata incapace di maneggiare con maestria il dibattito pubblico circa il fascismo, e dovendosi quindi porre in due posizioni. O rinnegare il fascismo, o non rinnegarlo. La via di mezzo, che si chiama cultura, non è mai stata seguita.
Ci pensarono penne importanti, come De Felice, e in tempi recenti proprio Giampaolo Pansa, che dimostró come si può essere non fascisti senza rinnegare e senza negare la realtà storica a tutto tondo. Anche lui, quindi, venne aggredito con violenza dai gendarmi della memoria, dai violenti fascisti rossi che ci fanno la lezione di civiltà e che sono essi stessi i veri fascisti, ma un po’ peggio a dire il vero, perché come dimostra la storia di Farinacci durante il fascismo era impedito il dissenso ma non la critica. La sinistra non ti concede tanto.
Inaccettabile e irricevibile, quindi, è che una intera comunità di persone, la destra, che ha visto bambini bruciati vivi da quelli che ci vorrebbero insegnare a vivere, venga pungolata a fare la recita dell’antifascismo di maniera, perché a non fare i conti col passato, a continuare con quei metodi fuori dal tempo, ci sono solo loro, a sinistra. E i conti col passato dovrebbero farlo loro, con la loro violenza, la loro costante retorica per impedire il pensiero critico, le loro liste di proscrizione, il loro metodi squadristi.
Gianfranco Fini con quella stagione decretò la sua fine e la fine della destra in Italia. Se si vuol fare i conti col passato li si faccia con la cultura. Si esprima nei dibattiti pubblici ampio dubbio sulla narrazione storica. Si dica che il ghetto di Roma è stato rastrellato mesi dopo l’arresto di Mussolini. Si parli di Porzus. Si dica ogni cosa, per trovare pacificazione, che sia verità trasversale per tutti. Perché se la così detta unità nazionale deve essere raggiunta attraverso il fatto di asservirci tutti alle bugie e alle violenze di sinistra, se l’unica via è diventare tutti di sinistra, ebbene questa pacificazione non avverrà mai e se avvenisse si mostrerebbe quale era la reale intenzione dei comunisti del 45, non certo quella di donarci la democrazia e il libero pluralismo delle idee.
Torna come un fulmine il ricordo di quel pezzo di Giampaolo Pansa, dove i complessi di inferiorità della destra erano perfettamente rappresentati da Gianfranco Fini e dal suo inspiegabile comportamento.
Gli chiese dove pensava di andare con quelle dichiarazioni costanti contro il fascismo e a favore della sinistra. E lui rispose “non ne ho idea”. La rappresentazione era di un uomo al comando di una nave senza tracciare rotta, pronta ad andare sugli scogli. Ma dopo esserci finito, tutto ci si poteva aspettare tranne che dopo aver affondato la nave, il comandante tornasse a parlare per rivendicare quella manovra, quel metodo, quel modo di condurre.
Non avere capacità culturali per argomentare a dovere sul fascismo, senza rinnegarlo ma rivendicando il diritto di definirsi non fascisti è cosa nota. È segno di ignoranza e complessi di inferiorità. Tornare sulla scena per ricominciare dagli scogli su cui ti sei schiantato, invece, è segno di stupidità. Una incredibile smisurata stupidità che non era prevedibile nel delfino di chi insegnò a tutti noi la via piena e colta verso il futuro. “Non rinnegare, non restaurare”: era Giorgio Almirante.