La morte di Clemente Ventrone, vicerais della Tonnara di Favignana, ha colpito tutti in modo intenso. Il motivo non è strettamente legato all’uomo, ma alla testimonianza che egli era e rapresentava.
Il mondo per come lo abbiamo conosciuto sta cambiando troppo in fretta. Se è vero che questo è valido ovunque, lo è ancor di più in quei territori dove resiste il ricordo vicino di una economia reale, non standardizzata dal capitale, fatta di tradizioni o gesti umili e quotidiani che scandiscono il tempo. Il tempo del mondo che è il tempo della vita di ognuno di noi.
Quando muore un soggetto come lui, quindi, non c’è solo il cordoglio verso il defunto come uomo; ci sono anche una serie di emozioni interiori molto difficili da analizzare che attengono alla nostra storia, alla nostra vita, al contesto valoriale ed emozionale nel cui siamo cresciuti. Quando muore un testimone della nostra esistenza e non solo della sua, si amplifica un dispiacere legato alla perdita di una parte di noi.
Senza progredire in riflessioni di carattere filosofico troppo complesse e non adatte a questo breve articolo, possiamo però renderci conto tutti come la perdita delle attvità quotidiane antiche, come quella della pesca, ha portato avanti un processo di sdradicamento dell’uomo dall’uomo che, nello scaffale di un supermercato, non trova punti di riferimento emozionali che gli ricordano chi è e perchè è.
Quel vuoto, quindi, sentito anche da tutto il popolo di questo territorio e da persone che neanche lo conoscevano, è un vuoto che va oltre la morte di un uomo. E’ il vuoto della tradizione sotto attacco da decenni; e quella mancanza, quello sgomento che sentiamo, ci racconta come la tradizione abbia un’anima che è viva ed immortale. E lo sarà sempre, anche solo nel ricordo e nel rimpianto