Da tanti anni ormai siamo costretti a subire una ondata di notizie orribili sul mondo del calcio. Si, orribili. Orribili perché, infondo, chi di noi non si è emozionato, non ha sognato, non ha creduto in questo sport più che negli altri? Gli sport sono tantissimi ma le palpitazioni che una nazionale di calcio suscita in un Paese, ad esempio durante un mondiale, non sono paragonabili, davvero, ad altro.
Chi scrive da quasi dieci anni non segue più una partita. Non ho visto gli ultimi due campionati del mondo, non ho più seguito il Palermo di cui, oggi, non conosco neanche la posizione in classifica. Tanti anni fa vi fu in me un rifiuto a continuare a credere in questo mondo dominato dal denaro e dal mercimonio dell’anima, simbolo di tutta una società.
Ho notato spesso, e questo mi fa molto male, che pur di godere di quello sport che si ama, la gente è stata disposta a far finta di nulla, a metter sotto il tappeto, a dimenticare, scandalo dopo scandalo. Critico questo atteggiamento perché ha come risultato un processo di inevitabile mancanza di cambiamento ed emancipazione da certe logiche: se c’è chi continua a mangiare la minestra il cuoco non cambia ricetta.
Le notizie catanesi non mi stupiscono. Ciò che fa più male, come non dirlo, è che la vicinanza dello scandalo in salsa siciliana, colpisce l’orgoglio di chi pensava, magari: “noi no, noi non siamo così”. Ed invece le cronache ci raccontano dell’ennesimo film, visto e rivisto in altri luoghi, regioni, in altre città. E si va delineando un quadro di degrado morale del nostro tempo, generalizzato, totalizzante, che avvolge tutto e tutti.
Ricordo spesso le parole romantiche di un Pierpaolo Pasolini che, innamorato degli eroi che facevano sognare i piccoli e i grandi, scriveva: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. E lui, il grande poeta, cosa direbbe oggi? Come parlerebbe alla società? Cosa direbbe? A guardare il calcio di oggi quanto dolore trasparirebbe dalla sua poesia?