Immancabile, per l’arresto di Messina Denaro, è iniziato il dibattito pubblico su un fenomeno che nessuno, dico nessuno, ha mai avuto il coraggio di studiare e comprendere. Si tratta della famosa omertà, di cui i siciliani vengono accusati e lasciando sempre intendere che questa sia caratteristica innata, tipica di un popolo, per motivazioni antiche di carattere sociologico e culturale. Una visione ignorante.
Chi scrive, e chi mi conosce lo sa, non ha mai partecipato alla retorica con cui si difendono i siciliani. Ho fatto della mia vita una continua critica violentissima ad essi, al loro narcisismo, al loro modo di negare i problemi, scrollare le spalle, di dire che se non ti piace te ne devi andare perché qui c’è il sole e il mare, la spiaggia più bella del mondo, i monumenti più belli del mondo, la cucina più bella del mondo e qualsiasi cosa, sempre, se ci fate caso, più bella del mondo. Un esercizio ignobile di autoreferenzialità che è protagonista della impossibilità di cambiare, interrogarsi su ciò che non va, perché quando qualcuno ce lo fa notare immediata è l’aggressività e la violenza che gli riserviamo per essersi permesso di criticarci: ultimo esempio la famiglia finlandese che scappa, ovviamente, essendo abituata a vivere in contesi civili e non in questo luogo dalle follie quotidiane che chi viene in vacanza non può immaginare e prevedere.
Detto questo, però, è importante che le cose importanti vengano affrontate con atteggiamenti seri, ed importanti approfondimenti di temi complessi che soltanto con banale mediocrità e ignoranza possono essere affrontati con quattro frasi fatte che nulla dicono, nulla spiegano, nulla rappresentano.
Una di queste tematiche è la cultura dell’omertà, che molti per ignoranza considerano fondante del fenomeno – non criminale ma sociale – del sistema mafioso che poi si edifica in modo criminale grazie a quell’humus. E’ un grande errore: l’omertà è figlia di un qualcosa e non precorritrice e produttrice di essa. Questa è l’assenza dello Stato.
Per comprendere i fenomeni a tutto tondo, siano quelli di cui sto parlando o altri, è fondamentale sempre inserire le proprie valutazioni in un contesto di riferimento, e con una ricerca storica che possa produrre parallelismi in tal senso, poter valutare se una determinata caratteristica di un popolo sia costante al mutare delle condizioni – come si dice e si pensa sull’omertà – oppure così non sia stato. Anche solo una volta. E, se così è, identificare il fattore di discontinuità. I siciliani sono sempre stati omertosi oppure no? E se no, quando e perché è avvenuto?
Nelle varie tematiche di cui mi sono occupato in questi anni, una ha riguardato proprio la storia della lotta alla mafia e i fenomeni a contorno di carattere sociale. Ciò avvenne perché un esemplare cittadino, nonché appassionato di storia, avviò una ricerca sistematica di una pagina di storia molto importante della lotta alla mafia che viene narrata anche nei suoi scritti da Giovanni Falcone. E’ la lotta alla mafia, che attraverso il Prefetto Cesare Mori, durante il Fascismo venne avviata in Sicilia. Questa ricerca, venne svolta da Francesco Paolo Ciulla.
La ricerca portò alla pubblicazione di un testo, “Con la mafia ai ferri corti”, già titolo del testo che, nel 1932 il Prefetto scrisse per dare memoria di quella azione. Con la introduzione del Prof. Nunzio Lauretta e conclusioni di Pietrangelo Buttafuoco, il testo è stato redatto dopo una ricerca sistematica, a cui io ho assistito in qualche occasione, presso la Biblioteca Regionale a Palermo ed altri luoghi dove vengono custoditi i quotidiani dell’epoca.
Ebbene dalla lettura di questi quotidiani, tanti aneddoti e particolarità che poi si sono persi nel corso della storia, hanno raccontato alcune verità mai affrontate e forse volutamente mai affrontate; perché facendolo bisognerebbe ammettere un’altra, di verità, che andrebbe contro la retorica di uno Stato che farebbe la lotta alla mafia.
Scriveva Giovanni Falcone: “L’unico tentativo serio di lotta alla mafia fu quello del prefetto Mori, durante il Fascismo, mentre dopo, lo Stato ha sminuito, sottovalutato o semplicemente colluso”.
E scrive Pietrangelo Buttafuoco: “Con la mafia ai ferri corti – questo libro – è la semplice cronaca di una vittoria dello Stato contro la criminalità organizzata.
Ma cosa venne scoperto da Ciulla e che è l’oggetto di questo articolo? Egli fece una lettura di tutti gli articoli di cronaca di quando questa lotta alla mafia senza esclusione di colpi ebbe luogo. Vennero scoperte non solo vicende di cronaca dimenticate, ma si poté comprendere un qualcosa che era sempre, e lo è ancora, taciuto. L’omertà è la coperta che i siciliani indossano a causa della assenza dello Stato.
Quando Cesare Mori portò avanti la sua azione, invece, la ricerca di cui vi ho parlato ha scoperto che i siciliani, i cittadini, collaborarono. Testimoniavano contro i mafiosi, si esposero. Quando essi videro le retate a cavallo nei vari paesini e cittadine siciliani, quando videro che erano protetti, che i Carabinieri garantivano la loro incolumità e che la mafia, i mafiosi, erano stati messi ai ferri corti e rastrellati senza sosta a tutti i livelli; ebbene come per magia l’omertà non era più protagonista in loro.
A Ganci le mandrie delle famiglie mafiose vennero sequestrate, vennero organizzati bracieri con cui fare grigliate e dar da mangiare a tutto il Paese.
Fa molto riflettere, devo dirlo, aver visto ancora una volta Pif sbraitare in pubblico, come questo esercizio che ricordiamo lo portò in trionfo sotto la Presidenza della Regione. Riflettevo, guardando il video, alla incredibile mancanza di rispetto umano, comprensione, cultura e conoscenza che egli esprimeva. Quel vaffanculo a quel pover uomo, che forse aveva in realtà lo scopo di fare spettacolo, di diventare protagonista, con l’ennesima recita. E quel pover uomo, quei poveri cittadini che vengono additati come colpevoli di omertà invece che descritti come costretti all’omertà. Cittadini che a causa della assenza dello Stato sono portati ad essere omertosi per necessità e non per insita cultura. A Castelvetrano, per la manifestazione indetta per festeggiare, si sono registrate trenta persone. Possono mai essere tutti mafiosi nell’anima? O ci sono ragioni altre?
Se una persona intervistata a Castelvetrano festeggiasse, siamo sicuri che domattina il figlio potrebbe ancora aprire la saracinesca, trovare un lavoro? E’ facile parlare, troppo facile, lontano da certe dinamiche e da certe realtà.
Quello di Pif è un vergognoso attacco a chi, invece, il popolo siciliano, andrebbe per quella omertà compatito, con dispiacere, comprendendone le cause, cercando di spiegare che se vivi a Roma o Milano tra un aperitivo e l’altro non puoi permetterti di parlare, di capire cosa può accadere, in assenza dello Stato, in un piccolo Paesino dove abiti e dove la tua vita finirebbe in un tritacarne se festeggiassi in piazza l’arresto di un boss. Paesini, cittadine, dove si registrano una quantità di logge massoniche a cui sono affiliati tantissimi uomini di ogni strato della società. Forse sarebbe utile narrare tante storie, dalla Scontrino in poi, ma c’è chi è più competente di me per farlo, e di Pif certamente, come il Giudice Carlo Palermo.
Rivendico il diritto, io che passo la vita a criticare i siciliani e i loro comportamenti, di difendere i siciliani omertosi per necessità e istinto di sopravvivenza. Diceva Giovanni Falcone: la mafia è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.
Faccia una ricerca, Pif, un documentario da girare, sulle persone che hanno denunciato i mafiosi e su cosa è accaduto loro dopo che i riflettori della solidarietà mediatica si sono spenti. Sono rimasti soli. Chi ha paura merita rispetto non insulti.
Caro Pif, urla di meno e studia di più. Che l’autorevolezza non è una cosa che si compra al supermercato. E non è neanche qualcosa che ci si accaparra urlando in tv.