Sul mare tunisino che guarda l’Italia un uomo importante trovava ristoro e ispirazione. E, respirando quella salsedine e guardando quei colori, scriveva, riposava, pensava. Trovava rifugio e, forse, calore, in quella capanna sul mare; quasi a tornare, dopo una vita ai massimi livelli, alla semplicità che ci rende uomini veri. Bettino Craxi e la Tunisia erano questo e niente altro; perché questo è tutto: Dio solo sa quanto io possa capirlo.
Un fiume di gente: dagli amici di una vita ai traditori, da chi lo difese da quell’eccessivo e vergognoso esilio a chi ne approfittò per distinguersi e dirsi pulito, volò ad Hammamet per salutare l’ultima volta Bettino. Oggi, nel quindicinale, molti sono tornati laggiù; alcuni, come Cossiga, non ci sono più, ricordandoci che la Prima Repubblica sta iniziando a diventare roba per libri di storia e non per dibattiti di attualità. E’ forse anche per questo, in larga parte, che la musica è cambiata o sta cambiando? La musica della criminalizzazione e delle accuse feroci, del livore e dalla meschinità, dell’ipocrisia e di chi recitò la parte della verginella sta lentamente scomparendo forse perché siamo tutti più grandi, consapevoli, vogliosi di verità. Forse perché è cambiata l’Italia; forse perché questo tesoro di soldi rubati non è mai venuto fuori. Forse perché questa Italia non più Nazione, non più Stato, non più Patria, governata da piccoli politici obbedienti e marionette nelle mani dell’Europa padrona, è orfana di grandi uomini e statisti; al netto degli errori, dei reati, delle carognate, delle vergogne. Ce ne furono tante, chi potrebbe negarlo? E’ certo che, però, Bettino Craxi fu vittima di una campagna violentissima con la quale fu utilizzato come capro espiatorio da chi fece cadere nel gioco dell’odio un Paese di persone poco attente, se non stolte, che tirarono le monetine a Bettino, quasi a volerlo linciare; per poi non dire nulla davanti alla presenza del suo vice, Giuliano Amato, ai massimi livelli delle Istituzioni fino a candidarlo, oggi, alla Presidenza della Repubblica. Che senso ha? Nessuno. Solo in Italia può avvenire una roba simile e molti, ancora, non si rendono conto della inopportunità di attaccare Craxi in modo cieco e senza “andare oltre”, analizzando l’epoca di “mani pulite” con la dovuta serietà e con il dovuto distacco.
Ancora oggi, per tanti, soprattutto a sinistra, è scandaloso difendere Bettino Craxi. Ci sono motivi di cultura politica per stimare e difendere Craxi. Lui è l’uomo del riformismo e della modernità; colui che ha inventato il PD molti anni prima che i suoi “assassini” ne facessero uno fallimentare. E cosa dire della ”crisi di Sigonella”, momento di più alto orgoglio della storia Repubblicana. Parlando di Europa, era lui a voler rinegoziare i trattati che avrebbero portato l’Italia, diceva, nel migliore dei casi in un limbo, nel peggiore all’inferno: così è stato!
Bettino è stato un grande uomo politico; colui che capì subito quanto quel “simbolo agricolo su sfondo rosso” sarebbe presto diventato una patata bollente nelle mani di tanti, fino ad oggi; e appartiene senza appello alla memoria politica positiva di questo Paese. Come ho detto fu capro espiatorio di un sistema – quello scoperchiato da Tangentopoli – che operava in maniera omogenea. Chi ricorda quegli anni non può non osservare che Bettino, massacrato dalle inchieste, paradossalmente visse quella esperienza da accusatore e non da accusato. Indimenticabile il discorso alla Camera che lo vide ammettere le sue responsabilità dicendo però che tutti operavano in quel modo e invitando chiunque a “scagliare la prima pietra”. Nessuno la scagliò e, nonostante al termine di quel discorso tutti andarono a stringergli la mano, con grande mancanza di decenza e dignità, chi aveva partecipato al “banchetto della Prima Repubblica” non rinunciò ad utilizzarlo per darlo in pasto alla gente che, stupida, se lo face bastare per saziarsi.
Ma Craxi non le mandò a dire. Tanti gli aneddoti da poter raccontare ma il più famoso è certo un interrogatorio dove chiese se era davvero credibile che l’Onorevole Giorgio Napolitano non fosse a conoscenza di fatti relativi a Raul Gardini… Ricordiamo, come simbolo di quegli anni, che nel processo ENIMONT vennero accertate tangenti in Via delle Botteghe Oscure – sede del PCI – ma, nonostante ciò, a differenza di quanto avvenuto per gli altri partiti, non vennero incriminati i dirigenti. Un bravissimo Antonio Di Pietro non riuscì, anche in presenza dei soldi, a trovare elementi a carico di singole persone! Craxi disse, in quei momenti: “Non è tutto oro quello che luccica. Presto scopriremo che Di Pietro è tutt’altro che l’eroe di cui si sente parlare. Ci sono molti, troppi aspetti poco chiari su Mani Pulite”.
Certo è che Di Pietro, al termine dell’indagine, si dimise. Successivamente iniziò a fare politica e proprio i DS lo candidarono nel loro collegio più sicuro, quello del Mugello. Divenne Senatore nell’unico partito, l’ex Partito Comunista, per il quale non riuscì a provocare condanne. Un caso? Lascio il beneficio del dubbio.
Quel partito, padre dal PD, era composto da uomini che usarono Craxi per poi tradirlo. Come narra Cicchitto nel suo testo “l’uso politico della giustizia” è certo, oggi possiamo dirlo, che lui commise il grave errore, nei primi anni ’90, di non comprendere la natura leninista e, quindi, politicamente violenta e spietata, dei figli di Berlinguer. Quando, su richiesta di D’Alema e di Veltroni, non provocò il voto anticipato nel 1991 e appoggiò l’ingresso del PCI nell’Internazionale socialista, dimostrò disponibilità e fiducia verso chi promise, in cambio, un diverso atteggiamento dei magistrati verso il PSI. Quella svolta non avvenne e, anzi, il PCI puntò, attraverso la sua immensa macchina mediatica, alla distruzione dell’immagine dell’uomo Craxi e all’annientamento totale del PSI attraverso l’uso politico di magistrati. Insomma, gli stessi metodi che abbiamo visto, poi, contro Berlusconi. Il PCI, la sua anima, la sua classe dirigente, non è cambiata mai, anche se alla “Bolognina” il partito cambiò nome. Leggiamo ancora dagli scritti di Cicchitto che Massimo D’Alema narrò, nella sua biografia ufficiale a cura di Giovanni Fasanella e Daniele Martini, le angosce e le paure per la eventualità che il riformismo li consegnasse alla storia. Queste parole di D’Alema restano scolpite nella storia della fine della prima repubblica: “Volevamo entrare nell’Internazionale socialista, dunque non potevamo continuare a chiamarci comunisti. Non avevamo alternative” … “li c’era Craxi, con la sua proposta di unità socialista, in sostanza un progetto annessionistico: come uscire da quel tunnel? Questo era il nostro progetto strategico: trasformare il PCI senza cadere sotto l’egemonia Craxiana che avrebbe segnato la disfatta della sinistra. Craxi aveva un indubbio vantaggio su di noi: era il capo dei socialisti in un Paese occidentale. Craxi rappresentava la sinistra giusta per l’Italia. I socialisti erano storicamente dalla parte giusta ma si erano trasformati in un gruppo affaristico avvinghiato al potere democristiano. Questo era il nostro vero dramma. L’unità socialista era una grande idea, ma senza Craxi. Allora avevamo una sola scelta: diventare noi il partito socialista in Italia”.
Chiaro ed esaustivo. In pratica una ammissione. Il muro di Berlino era caduto e la dimensione morale e politica del comunismo era al tramonto, defunta. Bisognava trovare nuovi orizzonti e terreni da conquistare nell’ambito socialista ma senza rischiare di essere secondi a nessuno. Bisognava continuare a comandare. Fu così che Craxi venne “assassinato” in modo spietato e gli uomini che operarono in quel modo portarono, senza averne diritto, il “testimone politico” della sinistra nella seconda repubblica; insanguinandola con gli stessi metodi, con lo stesso uso politico della giustizia, con la stessa potenza mediatica e di odio verso colui che divenne, nel 1994, il nuovo avversario politico da “abbattere”.
E’ questo carbone bagnato, ancora oggi, il protagonista dei tanti silenzi che, su Bettino, la fanno da padrone tra chi vide i Natali al Bottegone? Certo! Per tutto quanto detto credo sia arrivato il momento che, anche da sinistra, si riabiliti la sua figura senza se e senza ma. E, forse, sarebbe il caso che chi ha usato quei metodi di lotta politica provocando un clima da guerra civile permanente, cambi rotta; e chieda scusa: a Craxi e all’Italia intera!