Mi sono stancato; mi sono stancato di dire che si, qui ci sono la mafia e i professionisti dell’antimafia e però, diamine, è pieno di persone per bene; che è vero ma mi sono stancato dell’utilizzo che si fa di questo esercizio. E mi sono stancato di non chiamare le cose col loro nome, di non analizzarle per come è giusto fare, di non dire che le persone per bene, qui, sono persone per bene ma intrise di sicilianità; e la sicilianità è una medicina, una dolce pillola, una marmellata succulenta che, però, se presa in eccesso diventa veleno, ti fa male, ti uccide; se non fisicamente ti uccide dentro, uccide la speranza. Ti uccide perché questa terra di Sicilia è una terra malata e lo scrisse, e lo disse, e lo urlò il principone, che non poteva accettare una vanità, la nostra, peggiore della nostra miseria. E questo siamo: miseri più che vanitosi!
Che cosa è la sicilianità? Diversi giorni fa, per un convegno organizzato del mio editore, è venuto in Sicilia Diego Fusaro. Il giorno dopo averlo intervistato, spostandoci a Castellammare del Golfo per un incontro di filosofia, abbiamo avuto occasione di passare insieme del tempo in modo informale. Dopo la cena – eravamo una decina di persone – lui mi chiede di parlargli di Palermo. Ovviamente, essendo io – dettaglio fondamentale – palermitano ma figlio di un alpino abruzzese, e quindi dotato di sicilianità sana ma privo di eccesso di sicilianità assassina e narcisismo patetico autoreferenziale, ho detto la verità; e cioè che Palermo è una fogna, il luogo della morte sociale ed intellettuale, molto simile ad un canile puzzolente dove, però, anche i cani non riuscirebbero a star bene; nonostante i suoi cittadini umani, invece, la esaltino, scattino foto della spiaggia, scartando dall’inquadratura l’immondizia e il degrado, dicendo ai quattro venti che questo luogo, questa specie di discarica a cielo aperto, è come i Caraibi o la Polinesia; anzi meglio! Molto meglio, dicono nel massimo della loro mediocrità: perché ai Caraibi non c’è il pane e panelle!!! Molto meglio dicono; senza, però, esserci mai andati ai Caraibi o in Polinesia, trattandosi di una popolazione che, in gran parte, difficilmente viaggia e conosce il mondo; esclusa una puntatina a Salina o Panarea perché sono tappe fondamentali se vuoi contare qualcosa; ed anche in quel caso, ovviamente, non esistono posti di mare al mondo più belli delle Eolie. Certo: ma che ci andiamo a fare alle isole Fiji se abbiamo Mondello! Una città di persone ignoranti che si riempiono la bocca con Goethe, senza però averlo mai letto Goethe; ridotto a Lonely Planet del Golfo di Mondello nonostante, se leggi Goethe, ti accorgi che in “Viaggio in Sicilia” egli racconta la sua incredulità, passeggiando per la città, di vedere le persone spazzare e buttare l’immondizia fuori dall’uscio di casa, per strada. E non capisce, non si spiega come sia possibile! Ma figurati se uno si va a leggere questo! C’è una frase dove egli dice che Monte Pellegrino è il promontorio più bello del mondo? Bene: e allora su questo ci si costruisce un esercizio eterno di patetica autocelebrazione! Dio mio, non lo avesse mai scritto! Una città, raccontavo a Fusaro, dove le manifestazioni di arroganza, prevaricazione, mafiosità, non sono tipiche delle persone maleducate ma di tutti, in ogni sfaccettatura del quotidiano; tutti che, però, di ciò non si rendono conto – tirandosene quindi fuori ma addebitandolo al prossimo – non avendo mai vissuto in altri luoghi; esperienze che, una volta tornati a vivere qui, ti fanno notare il contesto di degrado in cui sei inglobato e protagonista attivo. Ma non sempre; c’è chi, anche in questo caso, vive col prosciutto sugli occhi. Una città con un linguaggio violento, violenta, con la peggiore borghesia del mondo che ha raso al suolo Panormus e distrutto la sua bellezza in cambio di mancette, per poi addebitare la memoria storica di questo scempio unicamente al sindaco che fu e pulirsi la coscienza. Dove erano i cittadini, i magistrati, la società civile, mentre le ruspe regnavano su Piazza Croci?
Ebbene mentre descrivevo in modo puntuale e corretto l’umanità assassina che qui regna, è nata una discussione con due donne presenti. La prima, di cui vedevi gli occhi innamorati di amore vero – che è dolore e passione per questa nostra terra – ha iniziato a farmi i complimenti per il coraggio di dire le cose come stavano capendo quanto io amassi la Sicilia e soffrissi; dicendo che questo descriverci come persone meravigliose, come popolo meraviglioso ma rovinato da pochissime mele marce, era un esercizio disgustoso che non faceva i conti con la realtà; e ciò provocava, diceva lei come dico sempre io, una impossibilità al cambiamento: se non accetti che ci sia un problema e non ne prendi coscienza, non puoi sperare di combatterlo; men che meno risolverlo!
Ma ecco che, in un attimo, irrompeva nella discussione la sicilianità piena, velenosa, assassina della ragione e di sé stessa, come del creato, dell’arte, della bellezza che qui regnava come in nessun altro luogo al mondo davvero. Irrompeva con gli schemi classici che, da sempre, subisco da parte di molti quando, senza paura, tento di dire la verità su questa stupenda terra di merda. Immediata la proscrizione in luogo della confutazione: “se parli così tu non ami la Sicilia”! Eccoti! La donna in questione inizia a combattermi, a scalciare, a dire che non è vero, che Palermo è stupenda e che non c’è la morte sociale ma è pieno di cultura e che è un paradiso di bellezza. Immancabile arriva la perla: “noi abbiamo il sole e il mare”; come se il sole e il mare fossero solo a Palermo e non lungo tutto il parallelo della nostra latitudine. Le consiglio, come prima risposta, di leggere la mia intervista al professore Buttitta e schiarirsi le idee sulla “cultura che qui regnerebbe” e, in secondo luogo, inizio ad argomentare descrivendo luoghi e fatti, persone e cose, aneddoti e storie di una Palermo e una Sicilia che non ci sono più. Di 18 chilometri di costa cittadina che sono discarica a cielo aperto mentre, puntualmente, si fanno convegni sul “waterfront” e sulla Palermo patrimonio dell’umanità, per prendersi per il culo da soli e dove si celebra la Palermo con la spiaggia più bella del mondo, il centro storico più bello del mondo, il parco urbano più bello del mondo, il promontorio più bello del mondo e tutto il resto che è, sempre, fateci caso, più bello del mondo. Dio, ma se lo facessero qualche viaggio e andassero a vederlo, sto mondo, infinitamente più bello di Palermo.
Insomma a quel punto, avendo io argomentato a dovere, invece che arretrare, in sua risposta sopraggiunge l’orrore! Mi prende in disparte e mi dice: “c’è un ospite importante che viene da fuori e noi non dobbiamo raccontare queste cose; noi dobbiamo farlo andare via convinto che qui sia un paradiso terrestre!!!”. Mi sento svenire, la guardo e le dico: “tu sei Tancredi”! La ragazza che mi aveva, invece, dato ragione, mi guarda, e dice: “ecco perché qui non potrà mai cambiare nulla”!
No, non ho voluto parlare di Pino Maniaci; non ho voluto perché non ve ne era alcun motivo. Non ho voluto perché, infondo, per raccontare la Sicilia e farla comprendere, non bisogna raccontare le storie dei “mascariati”, di chi viene beccatto con le mani nella marmellata della propria sicilianità; basta parlare di un qualsiasi aneddoto che ci accade ogni giorno. No, mi spiace; non posso tacere. Non posso dire che Palermo l’ha rasa al suolo il solo Ciancimino e pulirmi la coscienza; e non posso dire che qui siamo tutti persone per bene che non si rischierebbero mai di parlare come fa Maniaci nelle intercettazioni; con quella arroganza, spocchia, velenosità, mafiosità, esaltazione di sé. No, non posso. Non posso perché lo devo alla mia onestà intellettuale e alla verità. La verità di una terra dove, costantemente, tutto il giorno, sono circondato da “persone per bene” che in ogni azione quotidiana, che sia una coda all’edicola o una pratica da disbrigare in ufficio, parlano come in quelle intercettazioni; con la stessa arroganza, spocchia, velenosità, mafiosità ed esaltazione di sé. Siamo tutti, chi più e chi meno, Pino Maniaci. Come eravamo tutti, chi più e chi meno, Vito Ciancimino. Non lo scrisse il Principe di Salina ma, statene certi, lo scriverebbe oggi! Eccezioni a parte, ovviamente; c’è chi è saltato per aria qui. Ma le eccezioni convalidano la regola!
Ma non temete voi che state leggendo; non pesiate di dover accettare queste parole, di dover riflettere, leggerle con spirito critico e costruttivo. E non perdete tempo neanche ad attaccarmi violentemente, ribattere, scalciare. No, non fate nulla: perché la vostra, la nostra difesa è già in atto; in soccorso, ancora una volta e sempre, per salvarci da una corretta analisi di noi stessi e di questa velenosa sicilianità, stanno sopraggiungendo copiose, contro Maniaci, le indignazioni, lo sdegno, lo stupore di un popolo vergine e innocente! E che tratta questo Pino come un alieno fuori dal contesto nonostante, in questo contesto, quella umanità, quel linguaggio violento, arrogante, mafioso e prevaricatore sia l’unico stile regnante in ogni espressione del nostro quotidiano.
Dove sta, per me, la prova del tutto? Che ciò che dico è verità? Nelle manifestazioni inconsce! Credo di poter dire che quello siciliano è un popolo consapevole della propria essenza, seppur ciò sia palesato solo da processi inconsci, con cui ammettiamo a noi stessi la verità, celebrandola; ma non con l’ammissione, non con la parola, non con la accettazione del reale e la sua denuncia; bensì attraverso una costante manifestazione di espiazione della colpa, attraverso esercizi di retorica deprimente, culturalmente degradante, educativamente dannosa, che hanno la massima espressione, ad esempio, nella pratica vomitevole di intitolare tutto, in modo eccessivo fino alla nausea, a “Falcone e Borsellino”.
Sarebbe più dignitoso smetterla. Ma questo popolo di Sicilia tutto, soltanto perfettamente rappresentato da Pino Maniaci, la dignità l’ha perduta per sempre.