In casa nostra, quando ero piccolo, le discussioni di politica erano inesistenti o quasi. Infatti, nonostante l’appartenenza chiara, l’argomento non è mai stato fonte principale di interesse personale o passionale. Faceva eccezione zio Nino. Zio Nino è uno di quelli che non scherzano; parlo al presente perché è ancora vivo. Avete presente i comunisti che nel 2011 dicono ancora “triangolo rosso nessun rimorso”? Perfetto, ma all’esatto opposto!
Zio Nino è stato deputato dell’ MSI ai tempi di Giorgio Almirante. Ricordo una cena di famiglia in cui si aprì una discussione su Gianfranco Fini, il quale, ripetutamente, si difende dall’accusa di aver ordito un complotto per defenestrare Berlusconi nel 2010.
Lo zio ne parlava come di un cancro, uno che solo a nominarlo c’era da stare male; questo perché nonostante “il futuro avesse cominciato a richiedere cambiamenti” lo zio non ne voleva sapere.
Alle tesi di molti, che sposavano l’avvenuta “svolta di Fiuggi”, lui rispondeva: “Sì, sì, Ok. Ma non è questo il punto. Voi non capite. Io lo conosco bene! Lo abbiamo cresciuto noi. Me lo ricordo col basco quando era bambino. È un opportunista e un ipocrita! Lui è uno disposto a tutto pur di fare carriera. È uno che non guarda in faccia nessuno, che si dimentica da dove viene e quali sono i nostri valori”.
Ancora mi viene da ridere. La dentiera molle che andava avanti e indietro non riusciva a fermare la sua foga, la sua avversione verso Fini, reo – secondo lui – di “prostituirsi svendendo i valori della Destra pur di far carriera”.
Devo dire che io considero la svolta di Fiuggi come qualcosa di giusto e sacrosanto. E ringrazio ancora Fini per ciò che è stato. La destra aveva necessità di togliersi di dosso quella etichetta post fascista; questa rappresentava una zavorra pesantissima in un paese dove l’egemonia culturale dell’estrema sinistra aveva levato dignità politica a chi veniva collocato “fuori dall’arco costituzionale”. Quindi non penso che zio Nino avesse ragione… almeno su Fiuggi!
Il 27 gennaio del 2011, durante la giornata della memoria per lo sterminio ebraico, mi è rivenne in mente cosa lo zio Nino disse sull’uomo Fini. Sulle sue “doti morali”. Infatti, nonostante ormai gli ex elettori di Alleanza Nazionale fossero abituati alle esternazioni allucinanti del Presidente della Camera che per mesi smantellarono i punti di riferimento culturali di un intero popolo, credo in quel caso raggiunse il top e tra le tante sue dichiarazioni ricordo proprio questa più delle altre. Durante le commemorazioni egli affermò che “forse” sua nonna era ebrea; e quindi, “forse”, anche lui!
Ora, intendiamoci, ad avere una nonna ebrea non c’è niente di male; questo lo sottolineo perché qualcuno potrebbe approfittare di quanto scrivo per accusarmi di qualche scemenza. Questa dichiarazione – esternata da Fini – aveva una valenza e una rilevanza non da poco. Rappresentava infatti la prova finale, se ce ne fosse stato bisogno, di ipocrisia ed opportunismo.
La cosa, a dirvi la verità, non mi strappò neanche un sorriso; al contrario di molti che avranno reagito così, io la considerai seria: mi fece orrore!
Il senso di orrore lo provai in quanto Fini non si fece scrupolo a strumentalizzare una delle tragedie più grandi della storia dell’uomo pur di farsi bello davanti alle telecamere.
Il nonno di Fini si chiamava Antonio Marani. Dopo aver partecipato alla marcia su Roma con Italo Balbo ed essere stato fascista durante il fascismo – come quasi tutti, anche se molti si riciclarono a sinistra ed oggi lo omettono nelle loro biografie – nonno Antonio fu fascista pure dopo; fu infatti tra i fondatori del futuro MSI.
Il papà di Fini, Argenio, classe 1923, si arruolò volontario nella RSI e chiamò il suo primogenito Gianfranco in memoria del cugino Gianfranco Milani. Questo, infatti, venne assassinato dai partigiani durante la guerra civile raccontata, per la prima volta “senza le censure rosse” durate 50 anni, dal bravo e “odiato” Giampaolo Pansa.
Senza dilungarmi è quindi evidente che Fini avesse una storia familiare più vicina a chi gli ebrei li perseguitò. Aggiungo che quel “forse” fu la cosa che più mi ha lasciò senza parole. “Forse mia nonna era ebrea!” Mio Dio! Ho i brividi! Aggiungo che essere stati ebrei durante la seconda guerra mondiale lascia ai propri discendenti memorie e racconti “più chiari e incisivi” rispetto ad un “forse”. Fossi stato io il rappresentante della comunità ebraica, dinanzi a Fini avrei saputo cosa dire. Aggiungo che qualsiasi ebreo avrebbe dovuto indignarsi per quanto detto da Fini.
Quando, due anni prima, Vittorio Feltri scrisse il primo articolo su Libero contro Fini eravamo ben lontani dai giorni che segnarono questa esternazione. Il bravo giornalista sottolineava che siccome Fini andava nei salotti di sinistra – quelli che lo avevano sempre trattato come una bestia immonda – e strappava applausi su applausi, le cose erano due: o c’era qualcosa che non andava nella sinistra o c’era qualcosa che non andava in Gianfranco. Tutti subito giù a criticare Feltri, reo di essere il solito esagerato provocatore; indimenticabile il siparietto di qualche tempo dopo, quando ricevette “verbalmente” del Valium da Fini, e lui rispose ringraziando e ricambiando il dono mandando “dell’olio di ricino”…
Ad anni di distanza credo si possa fare il punto della situazione e dire che Vittorio Feltri, ovviamente, aveva ragione. C’era eccome qualcosa che non andava. Gianfranco Fini, in quei momenti, iniziò infatti un lavoro di ammiccamenti e strette di mano con i “nemici” di sempre. Tale lavoro era condito sia da continue dichiarazioni politiche che facevano esultare la sinistra, sia dalla sua posizione nei confronti del fascismo, con continue esternazioni a dir poco curiose.
Mi piace ricordare come in quei momenti proprio Giampaolo Pansa scrisse sul Riformista uno degli articoli più belli e schietti che io abbia mai letto.
Si intitolava “Povero Fini, parli di meno e studi di più”; vi consiglio di andare a leggerlo integralmente. Il giornalista di Casale Monferrato – certamente non Berlusconiano, anzi – raccontò di una telefonata con l’allora presidente della Camera dove, avendo intuito che le nuove posizioni sul fascismo ricadessero all’interno di una tattica politica, gli disse: “Ho seguito il suo viaggio revisionista sul fascismo. Ma non riesco a intuire la direzione nella quale sta andando”. La replica di Fini fu: “Non lo so nemmeno io!”
Allucinante! Nel resto dell’articolo Pansa sottolineava cosa c’era dietro quella risposta. Un soggetto totalmente privo delle qualità politiche che un Leader deve avere, che diceva però di voler costruire una destra diversa; ma che non aveva un piano ed un progetto politico per far ciò e di conseguenza cominciava a farsi detestare dai propri elettori, che vedevano calpestati i punti di riferimento di una vita. Fini viveva alla giornata navigando a vista! L’unica cosa che ne derivò è che la sinistra italiana cominciò ad “utilizzarlo”.
Non voglio fare la cronistoria punto per punto di quanto fatto da Fini fino alla sua scomparsa dal panorama politico. Sapete tutti come le cose sono andate. Voglio soltanto dire che Fini aveva tutto il diritto di smarcarsi da Berlusconi. In politica ci sta tutto. Ciò che non mi andò giù furono l’ipocrisia e i modi con i quali portò avanti la sua azione facendo della scorrettezza la sua principale fonte di ispirazione.
Per prima cosa, invece di palesare le sue intenzioni serenamente e sinceramente, attuò un lavoro di logoramento interno al partito che si concluse con il suo allontanamento. Questo avvenne successivamente alle centinaia di migliaia di messaggi di elettori del Pdl che, giustamente, non sopportavano più un Fini che remava contro e chiedevano di farlo fuori.
Da lì partì quella che secondo me fu una recita: disse di avere subito una purga “staliniana” e di essere stato cacciato; ma gli italiani sanno che non è così. È lui che si collocò fuori dal partito con i suoi comportamenti. In più, in modo francamente un po’ patetico, cominciò a dire che portò avanti questa azione per assecondare e far crescere dei “valori” che avrebbero trovato vita – appunto – in Futuro e Libertà. Valori che nel Pdl non esistevano.
In realtà io penso che questa sia la versione della storia raccontata in “politichese”. La verità era un’altra. Gianfranco Fini, accortosi che il naturale successore di Berlusconi non sarebbe stato lui, fece saltare tutto per assecondare il suo arrivismo e la sua voglia di potere.
Arrivismo e voglia di potere dicevo…
Qualcuno mi dirà che non è così. Io però posso solo constatare che Fini, quando creò FLI, dichiarò che questo si sarebbe collocato nel centrodestra, come da sua posizione naturale, per rappresentare una nuova gamba. Anche ai suoi deputati venne promesso questo; ma ciò venne disatteso e in barba alle promesse da marinaio, Fini ordì quello che poi – chiaramente – rappresentò un piano per fare fuori Berlusconi.
L’obiettivo era infatti quello di utilizzare la tattica tanto cara alla sinistra. Sfiduciare il governo e prendere il potere senza elezioni, complice l’aiuto del Capo dello Stato. Insomma: il classico colpo di stato all’Italiana, senza soldati e con i cittadini che, inermi, devono vedere sovvertire l’esito delle urne con giochi di palazzo. Sappiamo tutti come andò. Quando infatti Fini chiese il voto di fiducia molti, quasi tutti, compreso non pochi tra i suoi uomini, non erano d’accordo e non capirono il motivo. Erano fuoriusciti dal Pdl, si era creata una bella realtà con FLI e la possibilità di continuare l’esperienza di Governo – controllando anche dei Ministeri – senza però dover sottostare a Berlusconi; bensì trattando e dettando le proprie condizioni. O al massimo creare un appoggio esterno che potesse condizionare l’attività parlamentare in favore dei propri principi. Porsi all’opposizione era assurdo, soprattutto per FLI che, nell’eventualità di una tornata elettorale in luogo di un nuovo governo nominato da Napolitano, non avrebbe potuto racimolare che un 4-5 %, e quindi garantire la rielezione a pochi deputati.
Oggi per me è tutto chiaro, alla luce anche delle rivelazioni di Laboccetta, ex suo braccio destro. Fini fu parte di un preciso piano. Questo prevedeva appunto questi passi: la sfiducia con conseguente perdita del posto da parte di Berlusconi, il successivo arrivo di un governo con lui Premier e fatto da tutti gli sconfitti alle urne e, ormai si capisce, l’impallinamento finale di Berlusconi attraverso le inchieste. Questo piano andò in fumo e subito ne venne ordito un altro, appunto, attraverso la bufala dello spread e Mario Monti; ma questa è un’altra storia.
Ho scritto spesso che Silvio Berlusconi è un soggetto per molti versi indifendibile. Non posso però chiudere gli occhi davanti a tutto questo. È altrettanto criticabile se non peggio. Questi signori, compreso Fini, avrebbero dovuto avere il coraggio di fare una lotta politica vera con la capacità di costruire qualcosa e di andare davanti al popolo a guadagnarsi la vittoria, la credibilità ed il rispetto. Se la sinistra italiana ha spesso avuto il vizietto “dei colpi di stato” per andare al governo, Fini ha rappresentato una novità in questo. Ma credetemi, anche se sembra il protagonista e il principale attore di questa storia, lui non fu altro che un’utile marionetta nelle mani di una sinistra senza più speranze di apparire come corretta e limpida.
Io la conosco bene questa sinistra e Fini si fidò troppo. Quando fecero fuori Berlusconi, Gianfranco ebbe il benservito previsto da sinistra e, contemporaneamente, un inevitabile abbandono da parte del suo popolo (io ne facevo parte) che uno strappo da Berlusconi lo desiderava da anni; ma da posizioni di destra, non certo centriste e di opportunismo politico. Un film dell’orrore che ha dilaniato e ridotto in brandelli la tradizione politica della destra italiana di cui restano solo macerie.
Sempre Laboccetta ci narra un avvenimento: Berlusconi e Letta si recarono da Fini per chiedergli cosa volesse in cambio di smetterla di fare contrapposizione e lui chiese di far fuori La Russa, Matteoli e Gasparri. Berlusconi, narra Laboccetta, restò di stucco dicendo a Fini: “fare fuori i tuoi amici?”. E Fini rispose: “L’amicizia in politica non è un valore”. Questo era, questo è, Gianfranco Fini.
Ripensando a tutto quello che è successo negli ultimi anni e ancor di più a quanto gli ultimi avvenimenti ci dicono, l’unica cosa che mi torna in mente sono le parole di zio Nino: “Un opportunista. Un ipocrita. Uno che non conosce la lealtà e la correttezza ed è disposto a tutto”. Noi lo difendevamo e lui andava giù duro. Sì, lui lo conosceva davvero bene il “forse” nipote dell’ebrea. Oggi, a 15 anni di distanza da quella discussione, devo dire che probabilmente, su Gianfranco Fini, aveva ragione lo zio Nino!