Livio Marrocco è il mio editore, è mio amico e questa sarà un’ intervista di parte. No, che avete capito cari lettori; non asservita, di parte. Di parte perché esserlo, con Livio Marrocco, è quasi un dovere. Un dovere dato dal fatto che, in un panorama politico spesso contraddistinto da persone poco raccomandabili, egli è uomo onesto, coerente e per bene. E questo, per me, rappresenta tutto. L’ho visto lottare con energia durante i tempi migliori e accusare il colpo per l’inchiesta sulle spese dei gruppi parlamentari. E l’ho visto quando la sua carriera è stata interrotta da una operazione politica, quella di Futuro e Libertà, di cui io fui un acerrimo nemico; e non lo nascosi affatto. Non me lo ha mai detto ma sono certo che abbia apprezzato la mia onestà intellettuale, per la quale dissi quello che pensavo, invece che asservirmi per possibili convenienze personali.
Da diverso tempo pensavo di intervistarlo ma, prima di farlo, aspettavo una sua nuova discesa in campo. Questa, seppur in fase molto embrionale, è avvenuta con Azione Nazionale; una associazione che da pochissime settimane lavora per raggiungere la terra promessa: la riunificazione di una destra frammentata, piena di lividi e tragici fallimenti. Su Futuro e Libertà, su Azione Nazionale e sulla destra di domande da fare ce ne sarebbero state tante altre; per questo mi riprometto di rivederlo per parlarne in modo specifico. Ho preferito, in questo frangente, ripercorrere a larghe linee la storia di un ragazzo che ha fatto tanto per quella cosa, chiamata politica, di cui ormai siamo abituati a sentir parlare solo male. E’ possibile, invece, sperare in una buona gestione della cosa pubblica ma, certo, non si può restare a guardare. Tutti siamo chiamati alla lotta. Il suo appello finale ai ragazzi di oggi, quindi, risulta puntuale e veritiero: se non siamo parte della politica qualcun altro deciderà per noi. E questo non possiamo più permettercelo.
Ciao Livio, quando e come è nata in te la passione per la politica? E, confrontando quella epoca con quella odierna, cosa è cambiato circa il coinvolgimento dei giovani?
La differenza è enorme perché sono cambiati la comunicazione, i mezzi, gli strumenti che portano ad avvicinarsi alla politica e, quindi, il modo di vivere la politica stessa. Mi avvicinai a questo mondo durante la fase storica della nascita di Forza Italia e Alleanza Nazionale; avvenimenti che smossero le acque a destra. Una mia amica mi invitò a scrivere su un giornale cartaceo come referente del mondo studentesco; ero rappresentante del mio istituto. Sapendo che questo giornale faceva parte dell’area culturale proveniente dal MSI fui scettico: era un mondo che non conoscevo; ma quando iniziai a frequentarlo mi accorsi di avere le stesse idee che quell’area esprimeva. Nacque così un percorso di appartenenza e l’inizio di un impegno. A 17 anni ero già nel direttivo provinciale del movimento giovanile e fui testimone di quel passaggio storico dal “Fronte della gioventù” ad “Azione Giovani”: la svolta di Fiuggi spiegata ai ragazzi. Di li iniziò tutto il mio cammino in politica.
Raccontaci i tuoi primi anni.
Dal 94 fino al 2001 sono stato referente provinciale del movimento giovanile di AN: una palestra di vita! Voglio soffermarmi su questo aspetto perché senza questa esperienza, e tutto ciò che racchiude, non sarei mai arrivato a ricoprire anche ruoli amministrativi. Un percorso di militanza fatto di riunioni, giornali, scritture, convegni, banchetti per strada, volantinaggi e politica universitaria che mi hanno formato. Io e i miei compagni di strada all’ Università di Palermo creammo associazioni e riuscimmo a vincere quasi tutte le elezioni. Ho fatto il consigliere di corso di laurea ma anche il consigliere di amministrazione, passando per tutti i livelli intermedi. Da tutte queste esperienze arrivò poi la mia candidatura al consiglio comunale di Trapani. Avevo 23 anni e, una volta eletto, mi confrontai realmente con l’amministrazione della cosa pubblica.
L’effetto di entrare, a soli 23 anni, al consiglio comunale sarà stato come quello che un uomo adulto può provare all’ingresso a Montecitorio. Che emozioni provasti?
Emozioni simili a quelle che provai diventando consigliere di amministrazione dell’Università di Palermo. Erano contesti di altissimo livello, dove mi ritrovai a confrontarmi con uomini e cose di un certo calibro che mi fecero sentire, specie all’università, piccolo piccolo. Ad esempio, all’università, i primi sei mesi li passai in silenzio per comprendere tutto e capire il linguaggio necessario per confrontarmi in quel contesto. Dopo, perso l’imbarazzo, divenni una furia, non mi fermai più e portai avanti iniziative dirompenti che mi fecero stimare a 360 gradi. Paragono ciò all’ingresso, appunto, al consiglio comunale, coronamento di un percorso di vita. Al consiglio comunale vidi i “mostri sacri” della città di Trapani; quei consiglieri che da tempo ricoprivano già quel ruolo e mi approcciai con rispetto. La differenza con la prima esperienza, quella dell’università, fu nella mia capacità di agire subito, dalla prima seduta, senza darmi un tempo di osservazione. Questo perché capii, dal tenore degli interventi, di trovarmi in un posto di livello diverso ed in più perché ero già formato nel carattere dalle esperienze precedenti.
Quale è il ricordo più bello che hai circa un qualcosa che hai fatto, come amministratore, per la città di Trapani?
Sicuramente quello della Coppa America di vela. Avevo l’onore di ricoprire la carica di assessore allo sviluppo economico e l’occasione di occuparsi di quell’importantissimo evento non fu solo il coronamento di un impegno ed un percorso ma, anche, un mettersi alla prova con un appuntamento importantissimo e di caratura internazionale: un carico di lavoro non indifferente e un impegno serrato nel confrontarmi con mille realtà. Quella sfida l’abbiamo vinta e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Successivamente avvenne il salto di qualità della tua carriera. Ti riesce di approdare all’ARS diventando uno dei più giovani parlamentari della storia. AN non esisteva più e “il predellino” aveva aperto a una nuova epoca. La tua candidatura avvenne quindi sotto il simbolo del PDL. Correva l’anno 2008 e quella esperienza, nonostante le grandi difficoltà del confluire sotto un cappello unico, porta anche testimonianza di tanti ricordi positivi e soddisfazioni. Tu diventasti, ad esempio, vicepresidente della Commissione Antimafia. Quali emozioni ricordi circa tutte queste responsabilità? Come ti trovasti a ricoprire, contemporaneamente, il ruolo di parlamentare e quello di vicepresidente della commissione antimafia? Che aneddoto puoi raccontarci?
L’emozione fu veramente tanta. Se le esperienze precedenti mi diedero emozioni, quelle relative all’ingresso in parlamento non hanno pari perché il contesto storico-culturale ti porta a vivere un sogno. Essendo il più giovane deputato di quella legislatura ricoprii il ruolo di deputato segretario, come prevede il regolamento, e mi sedetti sullo scranno più alto insieme al presidente dell’assemblea; incarico ricoperto nelle prime sedute del deputato più anziano. In più avvenne la mia nomina alla commissione antimafia fatta sulla base di scelte politiche del nostro gruppo parlamentare e non solo; anche dalle credenziali per le attività svolte lungo tutta la mia storia politica. Fu un incrocio di percorsi e appuntamenti con la storia e, così, iniziò la mia prima esperienza a Palazzo dei Normanni.
Se dovessi dirmi due disegni di legge che sei riuscito a portare avanti dopo averli fortemente voluti?
Il primo è la legge sul mercato contadino. Una battaglia che, purtroppo, gli attuali amministratori non hanno portato avanti. Una legge che dimezzava la distanza tra produttori e consumatori, su base locale, e creava le condizioni per un abbassamento dei prezzi al dettaglio. Questo ha certamente dato fastidio a molti ma in un momento di crisi era ed è fondamentale. Avrebbe giovato ai contadini, per guadagnare di più, ed anche ai cittadini, risparmiando all’acquisto. La legge è stata emanata ma è stata dimenticata e non viene applicata. La seconda legge che porto nel cuore è quella relativa alle attività di messa in sicurezza della Colombaia di Trapani: un simbolo della nostra cultura e identità che stava cadendo a pezzi. E’ stata salvata dall’incuria dopo una battaglia di tre anni, al termine dei quali si è raggiunta concretezza d’azione nonostante le difficoltà burocratiche.
La tua esperienza si conclude a causa di una operazione politica che si schianta su un muro: quella di Gianfranco Fini e di Futuro e Libertà. Ci hai raccontato dei tuoi entusiasmi e dei tuoi successi e certamente è facile immaginare il tuo stato d’animo per quel 5% sfiorato in seconda candidatura; una manciata di voti che cambiano la storia di tutta una vita. C’è un rimpianto legato all’azione politica di FLI, alla tua candidatura e al modo in cui venne formulata? Tornassi indietro agiresti in modo diverso?
La rabbia potrebbe portarmi ad avere mille rimpianti. Ma a mente fredda ti dico che le decisioni vengono prese sempre in un contesto storico e, ragionandoci, non posso rimpiangere assolutamente nulla. Perché il percorso seguito è stato di coerenza. Certo, furono fatti tanti errori. Avrei potuto far pesare di più le mie istanze nei tavoli; battere i pugni più di quanto non feci. Io facevo parte del direttivo nazionale di FLI e, nei tanti passaggi, ebbi modo di dire che era necessario correggere la rotta. FLI ha avuto la capacità di intravedere la fine del berlusconismo ed i tempi, circa la nascita del soggetto parlamentare, furono corretti; ed anche, aggiungo, circa l’uscita dal governo. Ma, al congresso fondativo, il partito venne affidato alla guida di personaggi che ne determinarono la deriva. Ricordo che, per molti, la candidatura perfetta era quella di Adolfo Urso: sarebbe stata seguita la linea della terza gamba al governo, di critica costruttiva, così da aspettare il tempo politico fisiologico per cogliere i frutti di quella scissione. Diversamente, chi gestì il partito portò alla richiesta di sfiducia del Governo Berlusconi. I sondaggi, prima di ciò, ci davano tra l’8% e il 10%; dopo nacque la parabola discendente.
Ultimamente l’agenda del dibattito pubblico si è incentrata sulla tutela della famiglia e sulle vicende legate al disegno di legge Cirinnà. Cosa pensi dell’ epoca che stiamo vivendo e di questi temi?
Non sono affatto meravigliato di quello che sta accadendo. Basta avere un quadro di insieme, della storia, per rendersi conto che siamo a un tassello di un percorso che ha radici lontane. Consiglio a tutti la lettura del libro “Rivoluzione e controrivoluzione” di Plinio Corrêo de Oliveira che già negli anni ’60 delineava e dettava i tempi del percorso che stiamo vivendo. Non dobbiamo renderci conto solo oggi che la famiglia è sotto attacco; questo avviene da decenni. La scusa, spesso, è quella dell’adeguarsi ai tempi moderni. Questo è sacrosanto e affrontabile con norme che regolino nuove esigenze e istanze della società che si evolve senza, per questo, distruggere tutto quanto ci precede. Ma, ripeto, il processo di degrado a tutto tondo è in corso da decenni. In altri Paesi, come alcuni del nordeuropea, è stata chiesta la liberalizzazione della pedofilia giustificata dall’amore. Ecco, insomma, non vi è dubbio: vi è un percorso di isolamento dell’uomo tale da poterlo rendere elemento singolo, protagonista di una solitudine dentro la società, così da privarlo delle protezioni della famiglia e degli affetti; renderlo, quindi, più facile da gestire e controllare. Se siamo soli siamo tutti più controllabili.
Livio Marrocco è un uomo che, data la giovane età, può essere ancora protagonista nella politica e nella destra italiana. Una destra malandata e divisa, certo; ma se è vero quello che ha detto Gaetano Quagliariello alla Camera dei Deputati, e cioè che la manifestazione del Circo Massimo potrebbe avere un ruolo fondante di una nuova stagione politica, dobbiamo ammettere che a tutto questo male che ci circonda è stata data una spallata non indifferente. Si può pensare, a destra, di ripartire avendo come collante proprio le idee che quella grande manifestazione popolare ha portato avanti?
Assolutamente si: si deve ripartire da un comune sentire. In questo Paese esiste una maggioranza silenziosa che è tendenzialmente di centrodestra e che non ha rappresentanza politica. Non vi è, in politica, una espressione del comune sentire della gente di destra. E i nostri antagonisti, seppur in minoranza, sono molto più organizzati e strutturati, come per la propaganda o l’organizzazione sul territorio. Questo il problema: riallacciare una corrispondenza tra territorio e rappresentanti. Bisogna ripartire dalle idee ma non è facile perché, inoltre, bisogna ricostruire interamente una nuova classe dirigente.
E’ questo che speri riesca a fare Azione nazionale? Parlaci di questo progetto a cui stai partecipando.
È un progetto che nasce come associazione. E’ possibile il doppio tesseramento e hanno aderito rappresentanti di vari partiti. Il portavoce nazionale è un consigliere della Calabria di NCD. Lo scopo è ricostruire un percorso di destra e rimettere insieme le anime perdute. Abbiamo avuto volontà di coinvolgere anche la Meloni – le è stato chiesto di lanciare una costituente di destra – ma, essendo necessario abbandonare il fortino della sua sigla per approdare a un contenitore più grande, al momento vi sono delle difficoltà. Azione Nazionale è una Alleanza Nazionale 2.0, per ricostruire un ambiente dove i vecchi colonnelli staranno dietro le quinte: il direttivo nazionale è costituito da quarantenni.
Purtroppo, nel percorso della tua carriera, sei incappato, come molti altri, in una vicenda giudiziaria legata alle spese dei gruppi parlamentari. Non mi permetto di dare giudizi nel merito della tua vicenda in particolare ma, come ormai molti pensano, devo dire che queste vicende caratterizzate da avvisi di garanzia a strascico e grandi titoli sui giornali hanno perduto credibilità; viene da pensare che, oltre al perseguire giustizia, vi sia anche il rischio che si persegua il giustizialismo, cosa assai diversa. Ma, anche fosse così, una notizia di reato porta a un procedimento da affrontare; come nel tuo caso. Che sviluppi vi sono stati?
Dall’avviso di garanzia del gennaio 2014 le cose sono molto cambiate. Mi venivano contestati, dalla Procura, 250.000 euro di spese ma, ad oggi, me ne vengono contestati circa 10.000. Cosa di cui i giornali, ovviamente, non hanno dato notizia o quasi. Siamo comunque in fase di udienza preliminare e deve essere ancora deciso il rinvio a giudizio; questo per quanto riguarda l’aspetto penale. Parallelamente vi è l’aspetto del danno erariale e quindi si attende un giudizio di primo grado dell’indagine della Corte dei Conti. In questa, invece, mi vengono contestati circa 60.000 euro. Non entro nel merito delle cose perché mi riservo di farlo al momento opportuno.
Da pochi giorni è passato un anno dalla nascita della tua prima figlia Maria Vittoria. Raccontaci l’emozione dentro di te. Come è cambiato Livio?
Chi ha vissuto la nascita di un figlio lo sa. Io posso raccontarlo oggi, a te e a chi legge, ma è difficile trovare parole per spiegare le sensazioni che si provano; non soltanto derivanti dal momento della nascita ma anche dalla grazia che mi dà il Signore, ogni giorno; il suo dono che prende forma. Un figlio è un dono. E’ un diritto desiderarlo, non averlo. E’ un dono di Dio! Non vi è cosa più bella che vivere la crescita di questa bimba, perché ti cambia e cambia la tua prospettiva. Non fai più le cose per te o per la coppia ma per lei e per costruire il suo futuro. Vivo ogni giorno per preservare la bimba dai tempi odierni e dal mondo in cui lei vivrà.
Ma il mondo siamo noi. Ecco: la tua vicenda giudiziaria ti ha segnato e spesso hai pensato di chiudere con la politica. La nascita di questa bimba può essere una motivazione per impegnarsi ancora in politica e lottare per costruire un mondo migliore?
Quando ho ricevuto l’avviso di garanzia sono certamente caduto nello sconforto. Ma, paradossalmente, tutto quanto accadutomi mi ha dato una energia inaspettata. Questa bimba mi ha dato la forza di tornare a occuparmi di politica non più, come accade da giovani, per vincere sfide personali; ma per mia figlia. Non mi interessa ricoprire incarichi ma voglio lottare a partecipare alla nostra sfida. Se non si è parte della politica vieni escluso e gli altri la faranno al posto tuo.
Si può sperare di riavvicinare i giovani alla politica? Cosa diresti a un ragazzo per convincerlo a lottare?
Gli direi che la politica va fatta per non subire le scelte di altri; e questi, spesso, sono dei mediocri. La rappresentanza oggi è mediocre perché i migliori si sono tirati fuori. Dobbiamo chiamarli altrimenti altri sceglieranno per noi, per le nostre vite e circa le regole; e queste scelte sono alla base dei problemi che stiamo vivendo. Il punto non è fare politica ma salvare il Paese e ricostruirlo con il contributo delle migliori intelligenze. In politica, come nel mercato, se si lascia libero uno spazio qualcun altro lo occuperà e, spesso, lo ribadisco, a farlo sono i peggiori.