“Dunque, non una, ma più volte, furono liberati con meccanismi vari palestinesi detenuti ed anche condannati, allo scopo di stornare gravi rappresaglie che sarebbero poi state poste in essere, se fosse continuata la detenzione. La minaccia era seria, credibile, anche se meno pienamente apprestata che nel caso nostro. Lo stato di necessità è in entrambi evidente”.
Sono queste alcune delle parole scritte da Aldo Moro in diverse lettere, dove lui, raggiunta la linea della fermezza con le Br, denunciava l’esistenza del “Lodo Moro”. Di cosa si trattava? Questo era un accordo tra i terroristi palestinesi e il governo italiano. Quest’ultimo, in cambio del non vedere realizzare stragi in Italia e di trattamenti di favore da parte di Paesi produttori di petrolio, si impegnava a concedere libertà di movimento sul suolo nazionale per i traffici di armi che avvenivano con la collaborazione delle brigate rosse; inoltre l’accordo prevedeva la liberazione dei terroristi catturati in flagranza. Ma il Lodo Moro venne tradito! Fu quando avvennero il sequestro dei missili di Ortona, nel novembre del 1979, e l’arresto del responsabile del Fronte popolare di liberazione della Palestina in Italia: Abu Anzeh Saleh. La strage di Bologna avvenne come ritorsione per la rottura di questo accordo? E’ questa, ormai, la tesi principale su cui nuovi documenti ed evidenze raggiunte si concentrano maggiormente. Il contesto storico e l’analisi dei fatti ci consegna una visone assolutamente possibilistica di questa tesi. Ma, oltre a questo, si possono ormai osservare una serie di elementi che diradano sempre più i dubbi.
Come tutti hanno intuito, per la volontà politica di dare una matrice fascista alla strage, senza nessuna prova e senza elementi che potessero giustificare una condanna senza “ragionevoli dubbi”, sono stati condannati all’ergastolo Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Questi hanno sempre rivendicato tutte le nefandezze da loro eseguite ma si sono sempre detti estranei alla strage di Bologna. Nel mondo della cultura e tra gli addetti ai lavori a credergli sono più o meno tutti, talmente tante sono le cose che non quadrano. Giampiero Mughini, ad esempio, non certo vicino intellettualmente trovandosi, negli anni ‘70, dalla parte opposta dello scacchiere delle passioni del tempo, ha recentemente espresso disappunto per questa condanna a cui nessuno è disposto più a credere. Su come sono state portate avanti le indagini ci sarebbe tanto da dire e da discutere ma come simbolo di quella sentenza vi è il fatto che essa si fonda al principio anche sulla testimonianza di Angelo Izzo, il mostro del Circeo che, a detta di Ciavardini, operò con lo scopo di guadagnarsi uno sconto di pena. Poi c’è la testimonianza di Massimo Sparti, un detenuto per reati comuni che dirà di aver incontrato Fioravanti a Roma il 4 agosto e averlo sentito vantarsi della strage. Ma Sparti, si scoprirà per delle testimonianze da parte di familiari, in quei giorni si trovava vicino Viterbo. Appare quanto meno singolare che a questo testimone chiave verrà riscontrato un tumore terminale grazie al quale otterrà la libertà. Egli però vivrà altri venti anni trascorsi serenamente da uomo libero. Verrà distrutta la sua cartella clinica e non morirà di tumore; il tutto è ricostruito da Riccardo Pellicetti in un suo articolo davvero illuminante o, meglio, inquietante!
Ma in questo caso non voglio concentrarmi nel descrivere il processo Bolognese. Voglio analizzare quella pista dimenticata, tralasciata, per la quale, come accennato, vi sono delle evidenze e dei nuovi elementi. Anche in questo caso la carne al fuco è davvero tanta. Le dichiarazioni di diversi esponenti palestinesi sull’esistenza del Lodo Moro non sono mancate. La più importante, come riportato su un articolo de “Il Tempo” dal giornalista Gabriele Paradisi, esperto di questa vicenda e autore di libri sul tema, è quella di Abu Anzeh Saleh: “Io posso dire che c’era effettivamente un accordo ed era tra l’Italia e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Fu raggiunto tramite il Sismi, di cui il colonnello Stefano Giovannone, a Beirut, era il garante. Non era un accordo scritto, ma un’intesa sulla parola. Lui ci aveva dato la sua parola d’onore e noi gli abbiamo assicurato che non avremmo compiuto nessuna azione militare in Italia. In cambio Giovannone ci riconobbe la possibilità di trasportare materiale militare attraverso l’Italia.
Quello che è importante sottolineare è un dettaglio non da poco e che apre praterie verso la pista palestinese. E’ il fatto che a Bologna, durante la strage, fosse presente il terrorista tedesco Thomas Kram, affiliato al gruppo Carlos ed esperto di esplosivi. Egli pernottò all’hotel centrale di Bologna la notte tra l’uno e il due agosto del 1980. Cosa ci faceva a Bologna, durante la strage, un terrorista esperto di esplosivi facente parte, secondo molte fonti tra cui la Stasi, di un gruppo terroristico reclutato, affermò Bassam Abu Sharif, dal Fplp? Ebbene, dopo una lunga latitanza questo ha sempre risposto che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Una coincidenza, quindi, difficile da credere. Perché quel viaggio anomalo in giro per l’Italia non è mai stato giustificato a dovere. L’archiviazione da parte dei magistrati di Bologna, avvenuta nel 2014, della pista palestinese, infatti, non avvenne in quanto questa fosse inconsistente ma per mancanza di evidenze maggiori rese quasi impossibili dal passar di 33 anni. Come disse il Procuratore Capo Alfonso, è passato troppo tempo per trovare “pistole fumanti”; prove schiaccianti. Perché, nonostante le immediate informative sulla pista che conduceva alla ritorsione palestinese, i magistrati del tempo non batterono questa strada indirizzandosi unicamente sulla matrice fascista e facendo così passare decenni?
Ciò che, oggi, può ancora di più farci pensare che questa pista sia molto vicina alla verità è quella relativa all’archiviazione della querela del terrorista Kram contro il giudice Rosario Priore; querela avvenuta in seguito alle dichiarazioni di quest’ultimo che aveva definito il terrorista, appunto, come un affiliato al gruppo di Carlos. La pista palestinese è basata su una “seria e attendibile piattaforma storiografica”, queste le parole del gip di Roma Pierluigi Balestrieri. Si conferma quindi a Roma quello che a Bologna è stato considerato privo di schiaccianti evidenze. Ma è importante sottolineare che a Bologna, questa tesi, venne argomentata sulla base della inesistenza del Lodo Moro che, però, risulta sempre più reale da nuovi documenti dei nostri servizi segreti che sono a disposizione della nuova Commissione Moro. In uno di questi, analizzato in commissione nel mese di giugno e datato 1978, vi è testimonianza dell’accordo tra palestinesi e governo italiano. Sulla maggior parte dei documenti relativi a questa vicenda, ed anche gli ultimi della nuova commissione Moro, è stato posto nuovamente il segreto di Stato. Perché? Cosa non si deve sapere di quegli anni? La condanna a Fioravanti è servita a coprire verità indicibili?
E’ certamente, questa, una delle tante storie che fanno parte dei misteri d’Italia. Quei tanti misteri di cui, passati decenni, si riesce perfettamente a comprendere la verità in una visione storiografica di insieme, ma di cui al tempo stesso è impossibile trovarne prove definitive; a causa dei depistaggi e delle volontà di impedire l’accertamento dei fatti. E’ giusto porre il beneficio del dubbio? E’ giusto, date le storture, gli indizi, le evidenze, i documenti scoperti, non credere ad una verità solo in quanto monca a causa dell’operare da parte di poteri che non vogliono che essa venga a galla?
Come ho già scritto il terrorista Kram ha dichiarato ai magistrati che il giorno della strage si trovava a Bologna casualmente. Un normale viaggio privato che non nasconde nulla di particolare. Bene; ma allora, come dice il già citato Paradisi, perché il rapporto della polizia di frontiera di Chiasso sull’ingresso di Kram in Italia del primo agosto 1980 è stato manipolato in 29 punti nel documento conclusivo di centrosinistra della Commissione Mitrokhin?