La vittoria di Trump negli Stati Uniti è stata una valanga definitiva che segna il cambio di passo nel panorama dei movimenti conservatori mondiali. Da diversi lustri, infatti, e per come i percorsi sinusoidali storici e sociali si svolgono, si era raggiunto l’apice di una immaginaria “Campana di Gauss” delle azioni portate avanti dalla sinistra che, infine, hanno generato la sua disfatta. Questa, infatti, è figlia della perdita di una identità fortissima che per decenni e, se vogliamo essere di più larghe vedute, sin dalla rivoluzione francese, aveva portato avanti la fiaccola delle istanze sociali, del popolo, di quella parte antiborghese ed anti elitaria della società che costituiva il voto popolare di massa.
Se, ovviamente, la modernità e l’avvento della socialdemocrazia, avevano portato a un sovrapporsi di dialogo tra la sinistra e la classe lavoratrice ma assorbendo allo stesso tempo una parte del voto proveniente dal mondo borghese, restava e doveva restare non tradito tutto uno strato di valori fondanti che facevano della sinistra la sinistra, e che rappresentavano la sua ragion d’essere; quella ragion d’essere che, venuta a mancare, ha generato lentamente ma inesorabilmente il fenomeno politico opposto. E’ stata la destra che, oltre allo zoccolo duro del supporto della società borghese, ha dialogato con la classe lavoratrice, con il popolo, assorbendo i suoi voti. A destra, oggi, votano tutti. Dal ricco notaio all’operaio di fabbrica. Come è stato possibile?
La prima grande ragione risiede in un qualcosa denunciato negli ultimi dieci anni da molti intellettuali. La sinistra, che tranne in pochi paesi non ha saputo settare le proprie politiche sul paradigma socialdemocratico “post caduta del muro”, ha perso riferimenti di lotta ormai nostalgicamente relegati tra le righe dei testi che ci raccontano gli anni ’70. La svolta atlantista che nel 1980 ha ridisegnato il panorama politico europeo arginando i movimenti marxisti mondiali, infatti, più di ogni altra cosa ha generato una confusione devastante nell’azione della sinistra; in poche parole: “e ora che si fa?”.
Quel momento, intuito dai socialisti democratici e dai liberali della sinistra centrista, non è stato capito dalla sinistra di lotta, che persa la sua ragion d’essere e smarrita, non ha potuto far altro che continuare ad usare gli stessi metodi ma in un tempo e con delle congiunture economiche e sociali, oltreché storico-politiche, che ne hanno resa l’azione patetica, fuori tempo, falsa e strumentale invece che genuina. Nacque così quello che possiamo definire come il vero processo di fallimento della sinistra: l’antagonismo.
L’antagonismo, infatti, superò e soppiantò il concetto di opposizione di lotta. L’opposizione, quella sana e vera, per sua natura, in alternanza e con i suoi percorsi di vittoria e sconfitta tra una legislatura e l’altra, porta avanti analisi critiche oggettive, stimoli alle compagini di governo al fine di emendare e migliorare leggi seppur fatte da altri; e, non da ultimo, è capace di appoggiare provvedimenti altrui se questi sono considerati positivi e frutto di un dialogo che, come avviene in molti sistemi, genera opera legislativa su azione del parlamento e non degli esecutivi. L’antagonismo, invece, è un cieco e violento lavoro di criminalizzazione di qualsiasi cosa venga fatta e detta dall’avversario politico. Campagne di odio, complessi di superiorità, strumentalizzazione di qualsiasi fatto in modo ipocrita, calcolato, senza scrupolo, senza sosta, coinvolgendo tutte le galassie possibili e amiche in un costante lavoro mediatico e di piazza di proscrizione dell’altro.
Il problema, però, è che questo modo di operare, fare l’antagonismo invece che la sana opposizione, premia nel breve periodo. Nel lungo periodo, invece, il popolo che osserva non crede più a quelle sirene. Specie se, appunto, per sopraggiunti motivi di carattere sociale ed economico d’epoca, quando i protagonisti di queste azioni vanno al governo fanno esattamente il contrario. Marxisti anni ’60 all’opposizione, neoliberisti al servizio del capitalismo finanziario quando governano: una presa in giro che non poteva durare più di vent’anni. La grande problematica del fare antagonismo per troppo tempo, però, è che è stato assorbito quel modello di azione. In pratica non si sa più far politica. Non una proposta: “Votate per noi perché loro sono i cattivi, sono fascisti, sono razzisti”. Argomenti che catturano ormai solo gli adolescenti. E tra poco neanche quelli.
Il secondo grande tema che ha portato alla disfatta della sinistra è l’utilizzo smodato della retorica. Tutti noi, per ogni argomento di discussione divenuto famoso negli ultimi anni, abbiamo potuto constatare come a destra, sebbene la destra sia criticabile in tanti aspetti, vi è sempre stata una analisi critica delle cose. Che sia l’immigrazione clandestina o altro. Invece, per dieci anni consecutivi almeno, abbiamo sentito da sinistra frasette sciocche come “bisogna costruire ponti e non muri”. Questa cosa, come nel periodo precedente, può funzionare nel breve periodo. Alla lunga stanca. Il cittadino osserva la realtà, che è fatta di vita quotidiana. Di non poter più camminare la sera in una stazione senza rischiare la vita. Le cronache sono fatte di quotidiani stupri di ragazzine, ferrovieri accoltellati per aver chiesto il biglietto e chi non dovevano, bande di criminali che vanno in giro a farla da padroni; la risposta a tutto questo quale è? Il mantra mattarelliano: “Bisogna costruire ponti e non muri”. Ok, ma possiamo costruire questi ponti senza che una ragazza venga fatta a pezzi e messa in una valigia nel pieno centro di Roma, o chiediamo troppo? Capite che non poteva durare!
Se, invece che antagonismo e retorica, la sinistra avesse fatto proposte concrete, analisi critiche ascoltabili dell’elettorato, proposto soluzioni, si sarebbe potuto essere non d’accordo, ma l’energia emanata non sarebbe stata di presa in giro dei cittadini ma di serietà e responsabilità. Invece, ormai, la battuta ricorrente è sempre la stessa: “questi fanno i colti intellettuali negli attici e prendendo il taxi invece che la metro, e poi fanno la morale dicendo che tutti sono razzisti”. Ecco: anche le persone che hanno sempre votato a sinistra si sono stancate di questa cosa: ed è finita che votano a destra.
Negli Stati Uniti, per fare un esempio che ci è stato raccontato da Federico Rampini, gli immigrati hanno votato in massa Trump. Qui in Italia la retorica e l’antagonismo lo hanno descritto come razzista contro gli immigrati, ma la realtà – dice Rampini – è un’altra. New York è una città dove da sempre arrivano persone da tutto il mondo che, con duro sacrificio e serietà, percorrono la strada verso il benessere rispettando le leggi, ottenendo la green card per lavorare, facendo corsi, gavette, percorsi di emancipazione da una condizione precedente. Ebbene la sinistra della retorica ha trasformato New York in città aperta dell’accoglienza, sono stati requisiti alberghi anche a 4 stelle nel centro lussuoso, ed è stato dato diritto di abitazione e lavoro ai clandestini che avevano fatto il loro percorso illegalmente. Ma secondo voi come deve reagire un immigrato che per vent’anni ha vissuto in un sobborgo, lavorato 20 ore al giorno, rispettato le leggi? Vota per Trump! Tutti, nessuno escluso. Ecco un esempio di come la retorica, la strumentalizzazione dei temi sociali per fare antagonismo e dire che a destra sono razzisti, nel breve periodo ha dato dei frutti, nel lungo periodo è crollata.
Non meno importante, per ultimo, è un concetto più filosofico e proveniente da quel percorso relativista denunciato da Ratzinger da Ratisbona in poi. La sinistra si è interamente intestata una azione di scardinamento e sovvertimento della morale comune e dei punti di riferimento imprescindibili che, badiamo bene, lo sono per tutti tranne che per piccole minoranze esaltate ed estremiste.
L’ideologia woke, l’imposizione di una visione in modo violento e talebano, ci è stata ancora una volta spiegata da Rampini, che narra come negli Stati Uniti ondate di docenti estremisti hanno istruito i bambini a pensare di non avere un sesso e doverlo decidere da grandi; ci racconta che fino a ieri potevi perdere il posto di lavoro se venivi sorpreso a esprimere un parere contrario. Noi siamo abituati a criticare, ad esempio, un uomo che si sente donna per partecipare a competizioni femminili (la critica non è al suo sentirsi donna, che è un diritto. La critica è al vincere le olimpiadi femminili barando). Dall’altro lato dell’oceano questo non era più consentito. Perdevi il posto di lavoro. La barbarie di interrompere con farmaci lo sviluppo ormonale dei bambini è stato visto da tutti come qualcosa di mostruosamente criminale. Ma in ogni ambito della società è stata imposta una nuova visione antropologica dell’uomo, un nuovo inizio, per lo smarrimento totale dei propri riferimenti, fossero anche quelli naturali. Perché, badate bene, una cosa è giustamente tutelare le minoranze concedendo a tutti dignità e impedendo emarginazione sociale, un’altra è imporre con violenza il sovvertimento della morale comune. Una cosa è tutelare e accompagnare con diritto un adolescente che non si riconosce nel suo genere, un’altra è imporre a tutti, anche a chi non svilupperebbe mai questa necessità, il non dover avere un genere alla nascita. Questa azione ha generato una consapevolezza, una reazione di tutti. Reazione che, infatti, non appartiene soltanto ai cittadini di destra, ma a tutti. Tranne che, appunto, ad una piccola minoranza estremista.
Ed è questo, infatti, alla fine dei conti, ciò che va detto. E’ una questione di pallottoliere: se ti occupi solo di minoranze, la maggioranza vota per chi si occupa di lei. Ed è una maggioranza trasversale, di tutte le culture e provenienze, che in ogni paese occidentale, da qualche anno, ha voltato le spalle a chi, invece di fare politica, ha saputo soltanto produrre antagonismo e retorica contro la morale comune: la ricetta con cui la sinistra è morta!